Claudio Monteverdi

(1567-1643)

LIBRETTI A STAMPA
MANOSCRITTI 
PARTITURE A STAMPA 
TESTI DEI LIEDER

LA VITA E LE OPERE (esempi Cliccando aprirai una pagina di ricerca su youtube. Su italianOpera non ci sono file video.)

Il combattimento di Tancredi e Clorinda

Madrigale rappresentativo in 2 Atti, è stata rappresentata a Venezia nel 1624.

"Il combattimento di Tancredi et Clorinda è un madrigale rappresentativo di Claudio Monteverdi, su testo del Tasso, per soprano (Clorinda) e due tenori (testo e Tancredi). Composta nel 1624, commissionata da Girolamo Mocenigo in occasione del carnevale, fa parte dell'Ottavo libro di madrigali guerrieri et amorosi pubblicato nel 1638. Il dramma riprende le vicende narrate nel canto XII della Gerusalemme liberata, in cui il cavaliere cristiano Tancredi, innamorato di Clorinda, guerriera musulmana, viene costretto dalla sorte a battersi in duello proprio con lei e ad ucciderla. In punto di morte Clorinda si converte e, battezzata, affronta con serenità il trapasso: S'apre il cielo; io vado in pace. In quest'opera, che costituisce una pietra miliare nella storia della musica drammatica del XVII secolo, Monteverdi sperimenta soluzioni musicali nuove, con l'orchestra che imita musicalmente alcuni effetti sonori descritti nel testo, come il galoppo di un cavallo o il clangore delle armature durante lo scontro. Ciò che fa spiccare questa composizione sulle altre, è il primo utilizzo del tremolo (una veloce ripetizione dello stesso suono) e del pizzicato per ottenere effetti speciali nelle scene drammatiche. Nel 1932 avviene la prima nel Teatro stabile del Veneto Carlo Goldoni di Venezia nella revisione di Gian Francesco Malipiero e nel 1943 al Teatro la Fenice diretta da Antonio Pedrotti con Clara Petrella. Nel 1951 va in scena al Teatro alla Scala di Milano diretta da Nino Sanzogno con Mario Carlin e nel 1952 al Teatro San Carlo di Napoli diretta da Sanzogno con Elisabetta Barbato."
(passo modificato da wikipedia. Il testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons Attribuzione)

Personaggi

il Testo (Tenore), Tancredi (Tenore), Clorinda (Soprano)

Il combattimento di Tancredi e Clorinda Cliccando aprirai una pagina di ricerca su youtube. Su italianOpera non ci sono file video.

Tancredi che Clorinda un uomo stima
Vuol ne l'armi provarla al paragone.
Va girando colei l'alpestre cima
Ver altra porta, ove d'entrar dispone.
Segue egli impetuoso, onde assai prima
Che giunga, in guisa avvien che d'armi suone
Ch'ella si volge e grida: - O tu, che porte,
Correndo sì? - Rispose: - E guerra e morte.

- Guerra e morte avrai: - disse - io non rifiuto
Darlati, se la cerchi e fermo attende. -
Ne vuol Tancredi, ch'ebbe a piè veduto
Il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l'un e l'altro il ferro acuto,
Ed aguzza l'orgoglio e l'ira accende;
E vansi incontro a passi tardi e lenti
Quai due tori gelosi e d'ira ardenti.

Notte, che nel profondo oscuro seno
Chiudesti e nell'oblio fatto sì grande,
Degne d'un chiaro sol, degne d'un pieno
Teatro, opre sarian sì memorande.
Piacciati ch'indi il tragga e'n bel sereno
A le future età lo spieghi e mande.
Viva la fama lor, e tra lor gloria
Splenda dal fosco tuo l'alta memoria.

Non schivar, non parar, non pur ritrarsi
voglion costor, ne qui destrezza ha parte.
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
toglie l'ombra e'l furor l'uso de l'arte.
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro; e'l piè d'orma non parte:
sempre il piè fermo e la man sempre in moto,
né scende taglio in van, ne punta a voto.

L'onta irrita lo sdegno a la vendetta,
e la vendetta poi l'onta rinova:
onde sempre al ferir, sempre a la fretta
stimol novo s'aggiunge e piaga nova.
D'or in or più si mesce e più ristretta
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi con pomi, e infelloniti e crudi
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.

Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robuste braccia, e altrettante
poi da quei nodi tenaci ella si scinge,
nodi di fier nemico e non d'amante.
Tornano al ferro, e l'un e l'altro il tinge
di molto sangue: e stanco e anelante
e questi e quegli al fin pur si ritira,
e dopo lungo faticar respira.

L'un l'altro guarda, e del suo corpo essangue
su'l pomo de la spada appoggia il peso.
Già de l'ultima stella il raggio langue
sul primo albor ch'è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
del suo nemico e se non tanto offeso,
ne gode e in superbisce. Oh nostra folle
mente ch'ogn'aura di fortuna estolle!

Misero, di che godi? Oh quanto mesti
siano i trionfi e infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran (s'in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
Così tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
perchè il suo nome l'un l'altro scoprisse:

- Nostra sventura è ben che qui s'impieghi
tanto valor, dove silenzio il copra.
Ma poi che sorte rea vien che ci nieghi
e lode e testimon degni de l'opra,
pregoti (se fra l'armi han loco i preghi)
che'l tuo nome e'l tuo stato a me tu scopra,
acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o vittoria onore. -

Rispose la feroce: - Indarno chiedi
quel c'ho per uso di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu innanzi vedi
un di quei due che la gran torre accese. -
Arse di sdegno a quel parlar Tancredi
e: - In mal punto il dicesti; (indi riprese)
e'l tuo dir e'l tacer di par m'alletta,
barbaro discortese, a la vendetta.

Torna l'ira ne' cori e li trasporta,
benchè deboli, in guerra a fiera pugna!
Ù'l'arte in bando, ù'già la forza è morta,
ove, in vece, d'entrambi il furor pugna!
O che sanguigna e spaziosa porta
fa l'una e l'altra spada, ovunque giugna
ne l'armi e ne le carni! e se la vita
non esce, sdegno tienla al petto unita.

Ma ecco omai l'ora fatal è giunta
che'l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi s'immerge e'l sangue avido beve;
e la veste che d'or vago trapunta
le mammelle stringea tenere e lieve,
l'empiè d'un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e'l piè le manca egro e languente.

Segue egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme:
parole ch'a lei novo spirto addita,
spirto di fè, di carità, di speme,
virtù che Dio le infonde, e se rubella
in vita fu, la vuole in morte ancella.

- Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
a l'alma sì: deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. -
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar invoglia e sforza.

Poco quindi lontan nel sen d'un monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v'accorse e l'elmo empiè nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide e la conobbe: e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!

Non morì già, ché sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con l'acqua a chi col ferro uccise.
Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise:
e in atto di morir lieta e vivace
dir parea: "S'apre il ciel: io vado in pace".

copyright ItalianOPERA ©