Niccolò Jommelli

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Nella Didone di Niccolò Jommelli si nota soprattutto l'inventiva melodica della scuola musicale di Napoli.

 

Jommelli condivide una scrittura musicale
ricca e raffinata con altri autori del Settecento come Scarlatti, o Pergolesi. I suoi recitativi accompagnati sono tutti scritti con forte energia.
 
Jommelli li preferì a quelli secchi, per coerenza con i contenuti drammatici del libretto.  

Didone abbandonata

 

prima mondiale

Didone Abbandonata (Roma, 1747)
musica: Niccolò Jommelli, libretto: Pietro Metastasio

immagine di Niccolò Jommelli


Frontespizio

   

immagine del frontespizio della Didone abbandonata

immagine
     

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(jpg 2.0 Mb)

     

immagine del frontespizio del manoscritto

     

mp3

Sinfonia

   

Allegro file Mp3

Andante file Mp3

Presto file Mp3

 

(Mp3 2.14 Mb)

I: senza indicazione di Tempo, in re maggiore, in 4/4.

(Mp3 2.0 Mb)

II: Andante, in re minore, in 3/4.

(Mp3 1.69 Mb)

III: Presto, in re maggiore, in 2/4.

 

organico
oboi I e II, corni I e II in D,
vl.I vl.II, vle, basso.

 

organico
vl.I vl.II, vle, basso.

 

organico
oboi I e II, corni I e II in D,
vl.I vl.II, vle, basso.

 

 

Atto I

   

Aria file Mp3

Scena

Marcia file Mp3

Scena I

Aria file Mp3

Scena V: Didone: "Son regina e sono amante"

Aria file Mp3

Scena XIII: Enea:
"Son quel fiume che gonfio"

 

(Mp3 1.6Mb)

senza indicazione di Tempo, in do maggiore, in 2/2.

(Mp3 9.11Mb)

Allegro, in do maggiore, in 4/4.

(Mp3 9.0Mb)

Allegro, in sol maggiore, in 4/4.

 

organico
oboi I e II, corni I e II in C,
vl.I vl.II, vle, basso.

 

organico
oboi I e II, corni I e II in C,
vl.I vl.II, vle, basso.

 

organico
oboi I e II, corni I e II in G,
vl.I vl.II, vle, basso.

Atto II

   

Aria file Mp3

Scena XII: Enea: "A trionfar mi chiama"

Aria file Mp3

Scena

Aria file Mp3

Scena

Aria file Mp3

Scena

(Mp3 7.14 Mb)

Allegro, in fa maggiore, in 4/4.

     

organico
oboi I e II, corno solo in F, corni I e II in F,
vl.I vl.II, vle, basso.

 

     

presentazione

 

aggiornamenti

la leggenda di Didone

Didone, o Elissa, è una figura mitologica, regina fenicia fondatrice di Cartagine e precedentemente regina di Tiro. Secondo la narrazione virgiliana, si innamorò di Enea e disperata per il suo allontanamento si uccise.

Primogenita di Belo, re di Tiro, era sposa di Sicharbas (Sicherba o Sicarba, che diverrà Sicheo, Sychaeus, in Virgilio). La sua successione al trono fu contrastata dal fratello, Pigmalione, che ne uccise segretamente il marito e prese il potere.

Probabilmente con lo scopo di evitare la guerra civile, Didone lasciò Tiro con un largo seguito e cominciò una lunga peregrinazione, le cui tappe principali furono Cipro e Malta.

Giunone aveva promesso loro una nuova terra in cui fondare una propria città e gliel'aveva indicata come la terra in cui scavando sulla spiaggia avrebbero trovato un teschio di cavallo. Approdata infine sulle coste libiche, Didone ottenne dal re Iarba il permesso di stabilirvisi, prendendo tanto terreno "quanto ne poteva contenere una pelle di bue"; infatti l'antico soprannome di Cartagine era "Birsa", che in greco significa "pelle di bue" e in fenicio "rocca". Didone scelse una penisola, tagliò astutamente la pelle di toro in tante striscioline e le mise in fila, in modo da delimitare quello che sarebbe stato il futuro territorio della città di Cartagine e riuscì ad occupare un territorio di circa ventidue stadi (uno stadio equivale a circa 185,27 m2) (problema di Didone). Durante la propria vedovanza Didone venne insistentemente richiesta in moglie dal re Iarba e dai principi dei Numidi, popolazione locale; secondo le narrazioni più antiche (ne parla ad esempio Giustino, III secolo d.C.), dopo aver finto di accettare le nozze, Didone si uccise con una spada invocando il nome di Sicherba.[1]. Didone venne divinizzata dal proprio popolo con il nome di Tanit e quale ipostasi della grande dea Astarte (la Giunone romana).

Didone nell'Eneide

« Non ignara mali, miseris succurrere disco »
(Virgilio, Eneide, I 630)
« Improbe amor, quid non mortalia pectora cogis! »
(Virgilio, Eneide, IV 412)

Nella versione virgiliana invece, sotto l'influenza della sorella Anna e di Venere e Giunone, Didone si innamora di Enea giunto naufrago a Cartagine con il suo popolo (I e IV libro dell'Eneide). È a lei che l'eroe troiano racconta le vicende vissute a partire dalla fine di Troia (Infandum, regina, iubes renovare dolorem). La Fama diffonde fino a Iarba, re dei Getuli, notizie del loro amore, che era stato consumato in una grotta; Iarba invoca suo padre Giove Ammone, perché fermi il "Paride effeminato" che insidia la regina, o piuttosto le sue mire su Cartagine. Tramite Mercurio, Giove impone la nuova partenza all'eroe troiano, che lascia Didone dopo un ultimo terribile incontro, in cui lei lo maledice e prevede eterna inimicizia tra i popoli. Poi, sviata Anna e la nutrice Barce (altro richiamo al cognome di Annibale Barca, il terribile condottiero cartaginese la cui memoria era ancora viva tra i lettori contemporanei di Virgilio) con delle scuse, disperata si uccide con la stessa spada che Enea le aveva donato, gettandosi poi nel fuoco di una pira sacrificale. Enea incontrerà poi di nuovo la regina nell'Ade, nel bosco del pianto (VI libro), e manifesterà sincero dolore per la sua repentina fine, non meno, forse, che immutata incapacità di comprenderne e ricambiarne l'amore e la dedizione; ma l'ombra di Didone non lo guarderà neppure negli occhi e resterà gelida, rifugiandosi poi dal marito Sicheo, con cui si era ricongiunta nell'oltretomba (...coniunx ubi pristinus illi / respondet curis aequatque Sychaeus amorem). Il silenzio finale di Didone è, secondo Eliot, un riflesso del senso di impossibilità di amare dello stesso Enea, schiavo del fato.

Versione modificata tratta da Wikipedia, "Jommelli", Wikipedia, L'enciclopedia libera, http://it.wikipedia.org/wiki/Didone (controllata il 22 maggio 2011).

la biografia
Le opere