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Quaderni Grigioni Italiani

luglio 2000 n.3
articolo di Anna Trombetta e Luca Bianchini
 

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Il "Verter" di Mayr e i legami col De Bassus e l’ambiente culturale,
politico e illuminato di Poschiavo

Scoperta una nuova farsa di Mayr, intitolata "Verter e Carlotta" e basata sulla prima traduzione poschiavina del "Werther" di Goethe, con temi tratti dalla "Zauberflöte" di Mozart.

I destini di Thomas Maria Freiherr De Bassus, Wolfgang Goethe, Johann Simon Mayr e  Wolfgang Amadé Mozart, s’incrociano idealmente a Poschiavo, nella seconda metà del Settecento, alla vigilia della rivoluzione francese. La cittadina di Poschiavo, al centro delle Alpi, era un punto di riferimento per gli illuminati di Baviera, Ordine segreto fondato da Adam Weishaupt (compagno di scuola di De Bassus) a Ingolstadt il primo maggio del 1776, e una base sicura per la diffusione dell’illuminatismo nel Nord Italia. Il barone Tommaso Francesco Maria De Bassus era nato a Poschiavo nel 1742, ma aveva completato gli studi proprio a Ingolstadt, in Baviera, dove vivevano altri suoi parenti, i quali possedevano cospicue proprietà.

I De Bassus erano padroni anche delle terre di Mendorf, piccolo villaggio bavarese, che aveva dato i natali, nel 1763, al musicista Johann Simon Mayr, celebre compositore, operista, anello di congiunzione tra Cimarosa e Rossini e maestro di Donizetti. Nel 1780 la linea bavarese della famiglia De Bassus s’era estinta e il nostro aveva ereditato le terre e i titoli nobiliari dei parenti tedeschi. Tommaso Maria era uomo colto, amante delle arti, generoso mecenate e si dedicava con impegno alla vita politica. Dal 1767 al 1791 fu, per alcuni anni, podestà di Poschiavo e di Traona in Valtellina, consulente legale dell’ufficio di Tirano, insieme ad Alberto De Simoni, il quale era non solo giurista, ma anche rivoluzionario. L’attività del barone fu celebrata in versi dallo scrittore e tipografo Giuseppe Ambrosioni, ma criticata da alcuni. Se nel 1765 il barone aveva esercitato tutta la sua influenza per liberare i Chiavi, che avevano attentato alla vita di Bernardo Francesco Costa lungo il lago di Poschiavo, nel 1774 “con i soliti impegni, manipoli, prepotenze e bullerie e scortato da sgherri da Tirano”, Tommaso Maria De Bassus aveva preteso addirittura di eleggere Podestà uno dei Chiavi, ch’egli aveva protetto in nome della religione cattolica (I podestà di Poschiavo, Quaderni Grigionati, I 33, Poschiavo, gennaio 1964). Nella "Storia delle Tre Leghe nel XVIII secolo" anche Giovanni Antonio De Sprecher confermò che l’operato politico del barone “non fu sempre senza macchia”. De Bassus organizzava periodicamente nelle sue case di Poschiavo, nella residenza estiva a Cantone e a Tirano (Italia), incontri culturali, che trattavano di letteratura, pedagogia e musica, diritto e politica. Erano occasioni da salotto, come quelle che tenevano i suoi parenti in Baviera o gli illuminati nelle Accademie Minervali o lo scienziato Ignaz von Born a Vienna. E si faceva tanta musica, per la quale serviva un Maestro.

De Bassus per due anni volle con sé il compositore Johann Simon Mayr, dal 1787 al 1789, presso il palazzo di Poschiavo e le sue proprietà in Valtellina. Il mecenate De Bassus e il musicista Mayr appartenevano, insieme a Goethe e a Mozart, all’Ordine degli illuminati di Baviera, società segreta rivoluzionaria, che s’era infiltrata negli alti gradi massonici di rito scozzese, e rappresentava l’ala razionalista della massoneria, opposta ai rosacroce. De Bassus era un massone, come si legge nell’"Esposizione" ("Vorstellung)", che scrisse in sua difesa nel 1787 innanzi al tribunale elvetico. Oltre ad essere frammassone era anche un illuminato (nome in codice Hannibal). Con ingenti spese aveva trasportato i torchi e i macchinari tipografici dalla Baviera a Poschiavo, per creare ex novo una stamperia nei Grigioni a servizio della massoneria e dell’illuminatismo. Tra le opere più prestigiose aveva fatto pubblicare la prima traduzione italiana dei "Dolori del giovane Werther" del massone illuminato Wolfgang Goethe (nome in codice Abaris). Mayr, anch’egli massone illuminato (nome in codice Aristotile), progettò di metterlo in musica. A Venezia, poco dopo il 1791, Mayr compose il "Verter", col titolo italianizzato, utilizzando temi musicali del "Flauto Magico" di Wolfgang Amadé Mozart.

Mozart era entrato nella massoneria nel 1784 ed era membro della loggia illuminata Zur Wohlthätigkeit. Il suo ingresso nell’Ordine fu sollecitato dal barone illuminato Otto von Gemmingen – Hornberg (nome in codice Antonius), annunciato il 5 dicembre 1784 dal segretario Johann Daniel Schwanckhardt (nome in codice Galeanus), perché il predecessore Leopold Alois Hoffmann (nome in codice Sulpicius) aveva omesso di comunicarlo alle logge consorelle. Wolfgang divenne Apprendista nella cerimonia di iniziazione del 14 dicembre 1784. Il grado di Compagno lo raggiunse il 7 gennaio 1785 nell’altra loggia Zur wahren Eintracht, officina più intellettuale, presso la quale si era recato in visita già il 24 dicembre 1784. Lì c’erano Joseph von Sonnenfels (per Barruel il nome in codice è Numa, secondo il Basso invece Fabius), segretario di loggia, consigliere aulico e presidente dell’Accademia di Belle Arti, e Ignaz von Born (nome in codice Furius Camillus), che ne diverrà Maestro Venerabile (vedi Alberto Basso, "l’Invenzione della gioia", Milano, Garzanti 1994, pp.563-564).

Il" Verter" di Johann Simon Mayr è un’opera illuminata e riunisce, in un unico contesto politico rivoluzionario i quattro protagonisti citati: De Bassus, Mayr, Goethe e Mozart. La partitura manoscritta era sconosciuta e assente in tutti i repertori mayriani. L’abbiamo scoperta nel corso dei nostri lavori musicologici, essendo sfuggita all’attenzione degli studiosi per un errore di catalogazione. I particolari e altri riferimenti su questo ritrovamento e su De Bassus, sono nel nostro libro "Goethe, Mozart e Mayr, fratelli massoni illuminati" della Arché, che ha per sfondo geografico Poschiavo e la residenza dei Podestà.

La trama dell’opera musicale è semplice. Come nel romanzo epistolare di Goethe, Verter ama Carlotta, moglie di Alberto. Giorgio è un personaggio aggiunto: un religioso (gesuita), che fa la parte del cattivo e cerca di screditare la coppia di amanti, Verter e Carlotta, agli occhi di Alberto. Ambrogio, il servo di Verter, e Paolina, la cameriera di Carlotta, aiutano il protagonista a provare la sua innocenza, la fedeltà di Carlotta, ad evitargli il suicidio e a sconfiggere l’infido Giorgio.

Mayr aveva letto a Poschiavo, nel soggiorno del 1787, la prima edizione italiana del "Werther". De Bassus s’era già recato a Milano nel 1781, a prendere contatti col letterato Gaetano Grassi, che s’occupò del "Werther / opera di sentimento / del / Dottor Goethe / Celebre scrittore Tedesco /  tradotta / da Gaetano Grassi / milanese / Coll'aggiunta di un’Apologia in favore dell'Opera medesima. "In Poschiavo / Per Giuseppe Ambrosioni, s.d. [2 febbraio 1782]. L’edizione di De Bassus è una rarità tipografica e straordinariamente importante dal punto di vista storico, perché fu la più diffusa in Italia tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, ristampata a Milano nel 1800, a Basilea nel 1807, a Livorno nel 1808, a Firenze lo stesso anno e ancora nel 1823. Oltre all’altra traduzione del Dottor Michiel Salom: "Verter / opera originale tedesca / del celebre signor Goethe / trasportata in italiano dal / D.M.S.", che è stata stampata a Venezia dall’editore Giuseppe Rosa nel 1788, prima, e poi nel 1796, e che tralascia i passi più pericolosi, per non incappare nella censura, le altre due versioni italiane, di Ludger ("Gli affanni del Giovane Werther, dall’originale tedesco tradotto in lingua toscana da C. Ludger", Londra 1788) e "Salce (Werther. Tradotto dal tedesco per L.C. de Salce", Parigi 1803) ebbero scarsissimo seguito. L’edizione di Salom omette quasi del tutto la lettera del 12 agosto 1771, in cui Alberto e Werther discutono sul suicidio, che il Grassi riporta per intero. Il testo del Grassi, sebbene più diffuso e letto, non fu il più accurato, perché era stato tradotto non dall’originale tedesco, ma da un’edizione francese, per cui se ne discostava più di quello del Salom, che è ripreso dalla lingua originale. La traduzione del Grassi è piuttosto  approssimata: la prima parte non è distinta dalla seconda, manca quasi tutto il brano di Ossian, letto da Werther, ci sono omissioni, modifiche e imprecisioni, che indussero Salom a definirla “una infelice versione di Verter, lavorato sulla traduzione francese e piena delle scorrezioni di quella, oltre le proprie” ("Werther", nella collana i Centauri a cura di Jolanda Sanfilippo, Ediesse, Roma 1997, p.17)

Il critico Jolanda Sanfilippo, confrontando le due traduzioni, osserva che nel Salom “ogni omissione e ogni atto interpretativo fanno rigorosamente parte di una logica chiaramente individuabile”, dovute probabilmente alla censura, mentre nell’edizione del Grassi a Poschiavo, secondo lei, si ha l’impressione che la traduzione sia effettivamente piena di scorrettezze, di omissioni e aggiunte, dovute “ad un atteggiamento poco corretto verso il testo”. La versione di Salom, medico padovano, ebreo e legato alla massoneria, ottenne l’"imprimatur" goethiano, che non ebbe l’edizione poschiavina. Salom aveva tradotto il "Werther"  nell’estate del 1781, contemporaneamente al Grassi, ma i due non si conoscevano. Avendo terminato il lavoro, Salom ne inviò un saggio a Goethe, chiedendo nella lettera del 2 ottobre 1787 un parere sulla qualità della propria traduzione, perché desiderava “rendere quest’opera più compiuta di quello che abbia fatto non so quale Svizzero in una sua traduzione francese”. Nella lettera del primo febbraio 1788, poco prima del viaggio di ritorno dall’Italia, dalla sua seconda dimora a Roma, Goethe scrisse: “La gente mi secca anche con le traduzioni del mio "Werther"; e me le fanno vedere e mi domandano quale sia la migliore, e se tutta quella storia è vera. Quel "Werther" è un guaio, che mi perseguiterebbe sin nelle Indie”. Ad altri due seccatori, che furono probabilmente il De Bassus, insieme al traduttore Grassi, allude Goethe nella lettera del 12 dicembre 1781, indirizzata alla von Stein, in cui si sfoga per una cattiva traduzione italiana, inviatagli dall’autore in forma manoscritta. Il poeta fece riferimento all’edizione poschiavina anche in un’altra lettera a Eckermann, il 3 aprile 1829, quando accennò al vescovo di Milano che aveva fatto sparire, nella sua giurisdizione, le copie in traduzione italiana (vedi Johann Wolfgang Goethe, "Opere", Sansoni, Firenze 1946, vol. II, p.1004).

Gaetano Grassi aveva dedicato la sua versione del "Werther" a Hans Jakob Hess sovrintendente generale delle poste di Zurigo, dichiarandosi suo vero e costante amico. Hess era stato forse il mediatore tra Grassi e il De Bassus. La tipografia di De Bassus profittava, per la diffusione capillare nel mercato italiano, del favore delle poste svizzere, per il controllo delle relazioni con Bergamo, Milano e Venezia, e della amicizia di Hess (Massimo Lardi, "Goethe e Poschiavo", Quaderni Grigionitaliani, anno LVIII 3, luglio 1999). Grassi appone all’edizione italiana di Poschiavo un’importante prefazione, che giustifica il suicidio di Werther e dimostra d’essere molto vicina alle idee illuminate: difende il suicida, che è travolto dalle sue passioni, chiedendo per lui non il biasimo, ma la comprensione. Quel "Werther" fu per Mayr, interessato alla cultura e ai principi illuminati, una delle prime letture importanti in traduzione italiana e un testo sul quale controllare il possesso della lingua, essendogli già nota la versione tedesca: un’opera letteraria consigliata, perché scritta da Goethe, che era oltre tutto suo “fratello”. Il musicista, in età matura, negherà persino di conoscere il "Werther" goethiano o anche solo d’averlo sfogliato. Riguardo alle notizie delicate sugli anni giovanili, sappiamo com’egli sia lacunoso e reticente.

Goethe, Mayr e De Bassus s’incontrarono con tutta probabilità nel 1788, nel viaggio di ritorno di Goethe attraverso il porto di Riva di Chiavenna (in provincia di Sondrio) e lo Spluga: in un breve diario, nei "Paralipomena" di Goethe, si legge infatti (1788): “24 aprile. Partenza da Roma. –28 a Siena. –Maggio, 1. Firenze. –23. Milano. –28. Partenza da Milano. –29. Riva di Chiavenna. 30. Passato lo Spluga”. Mayr era giunto in Italia appena l’anno precedente, ai primi del 1787. Goethe nel viaggio d’andata era passato come al solito dal Brennero, ma al ritorno preferì deviare e allungare il tragitto, transitando per la zona grigiona, sotto lo sguardo del De Bassus, che sei anni addietro s’era tanto dato da fare per diffondere, primo in Italia, i "Dolori del Giovane Werther".
La farsa "Verter e Carlotta" di Mayr (assolutamente diversa dall’altra opera mayriana "Lubino e Carlotta), "scritta sulla falsariga del "Werther" di Goethe  rientrava nel genere delle cosiddette “pasquiglie” in musica, che prendevano in giro il clero (come altre pubblicazioni del De Bassus, ad esempio "il Diavolo a Vienna"). Nel "Verter" Mayr fece sua la prefazione del traduttore Gaetano Grassi, ingentilendo e giustificando il tema del suicidio, aggiungendo un lieto fine e la celebrazione dei princìpi illuminati. L’opera di Goethe conclude con un suicidio, quella di Mayr con un suicidio premeditato e fortunosamente evitato, contro la volontà del protagonista. In Italia "I dolori del giovane Werther" erano preceduti da una pessima fama, proprio perché esaltavano il suicidio. I critici consideravano l’opera dannosa per la società e contraria ai valori morali e comunque in contrasto con l’insegnamento della Chiesa. Il romanzo epistolare di Goethe, secondo il Grassi, non è pericoloso, anzi è utile per conoscere e temere le passioni male regolate, così da evitare il gesto estremo. Fra le lezioni, che gli illuminati impartivano ai novizi, c’era quella, che insegnava a disprezzare la morte e a darsela, piuttosto che tradire l’Ordine. Weishaupt, il fondatore, la riduceva alla frase del "Patet exitus", intendendo che la porta della vita e della morte era aperta, per chiunque volesse uscirne. Forte di questi principi, anche Zwack (nome in codice Catone), amministratore del De Bassus, quand’era novizio si persuase che sarebbe morto da saggio, se solo si fosse ucciso di sua mano. E compilò quindi i suoi "pensieri sul suicidio", che il contemporaneo abate Barruel nelle "Memorie" giudica atei, pazzi ed empi. Gli adepti illuminati dovevano scrivere sul suicidio, per meritare l’ingresso nella società segreta. Il suicidio, nel romanzo di Goethe, è una prova necessaria per rinascere a nuova vita e unirsi per sempre all’amata. Verter cerca anch’egli di suicidarsi per Carlotta. Tamino, nel Flauto Magico di Mozart (che Mayr ha riutilizzato per la sua musica) supererà le prove rischiando la vita, dopo che Pamina ha cercato d’uccidersi per amore. In quanto al suicidio – secondo l’apologia del Renner (fuoriuscito dall’Ordine degli Illuminati) – “i superiori lo predicano ai fratelli per prepararli ai giorni di tempesta. Hanno l’arte di rappresentarlo come un mezzo così facile ed utile in certe occasioni, che io non rimarrei sorpreso - dice - di veder qualche allievo trasportato specialmente da una attrattiva di una certa voluttà, che essi spacciano insieme al piacere di darsi la morte e che pretendono di accreditare con degli esempi. Scoperto il delitto dell’illuminato gli resterà sempre "il patet exitus": una palla nella testa e si fugge alla giustizia” (Augustin Barruel, "Memorie", tomo IV p.185). Il suicidio, tema comune in Goethe, Mayr e Mozart, può liberarci da un peso troppo gravoso. È chiaro che non si tratta di un suicidio reale, quanto di un simbolo: il farsi giorno della luce, imprigionata nella materia; il dramma di Prometeo, che si ribella a Dio per salvare gli uomini.

De Bassus, Goethe, Mayr e Mozart avevano una missione illuminata da compiere. Il barone grigionese aveva aderito all’Ordine degli Illuminati nel 1778. Aveva fatto amicizia con Weishaupt (nome in codice Spartacus) ed aveva assunto, non a caso, il nome di Hannibal, avendo il compito di valicare le Alpi e trasmettere il messaggio illuminato nell’Italia del Nord. Nominò come amministratore Franz Xaver von Zwack, braccio destro di Weishaupt, mettendo a disposizione dell’Ordine il suo castello di Sandersdorf. Fornì protezione a Weishaupt, come osserva il contemporaneo John Robison nelle "Proofs of a Conspiracy against all the Religions and Governments of Europe, carried on in the secret meetings of free masons, illuminati, and reading societies," (Londra 1798), quando lo ospitò insieme alla cognata, che aveva messo incinta e che proponeva di fare abortire.
Molti storici vedono negli illuminati di Baviera i precursori del movimento nazionale tedesco, perché la setta progettava di unificare la Germania e poi l’Europa, eliminando ogni autorità politica e religiosa, per restaurare lo stato di Natura, in cui gli uomini vivono in pace tra loro sotto la guida dei soli patriarchi. Sotto gli ideali di eguaglianza e libertà si nascondeva, nei reali intendimenti, l’ateismo (i contemporanei così definivano la religione di Natura) e il ritorno al regno della ragione, che, secondo Weishaupt, sarà il frutto di una rivoluzione pacifica, attuata dall’Ordine mondiale degli illuminati. Gli illuminati si infiltrarono nella massoneria, per diffondere il movimento nel segreto, ma continuarono a propagandare l’abolizione della proprietà privata e ad avversare la monarchia e le religioni rivelate. Avendo creato un centro di informazione nei Grigioni di lingua italiana e oltre confine, De Bassus realizzò a Poschiavo l’idea politico-tipografica di Carlantonio Pilati (1733, 1802), anch’egli illuminato (nome in codice Lucrezio Caro), filosofo ed esule tridentino, già in contatto con Adam Weishaupt all’università di Ingolstadt e amico di De Bassus. Studiò a Salisburgo, a Lipsia, Gottinga e poi in Italia. Giurista, poliglotta e appassionato di storia e filosofia, collaborò con la Società tipografica di Coira, ove fondò il "Giornale letterario", e conobbe l’importanza dell’editoria per l’attività rivoluzionaria. Alcuni caratteri delle sue opere riflettono l’illuminatismo di Weishaupt, che egli propagandò in Italia, tramite il movimento massonico. Quella di Poschiavo divenne di fatto la stamperia italiana degli illuminati di Baviera, in cui venivano edite clandestinamente le pubblicazioni dell'Ordine e dei suoi affiliati, tra le quali anche un’anonima "Apologia dei franchimuratori" (leggi illuminati di Baviera) attribuita al Pilati. De Bassus portò idee nuove nel meridione. Egli era divenuto mediatore spirituale tra il Nord e il Sud e propagandava, con le pasquiglie di cui abbiamo accennato, compreso i "Dolori del giovane Werther", l’ideologia dell'Ordine degli illuminati. De Bassus chiamò a Poschiavo, come tipografo, Giuseppe Ambrosioni. All'officina tipografica aggiunse anche una libreria e tutto nel più stretto riserbo. L’Ambrosioni, come Mayr, era un illuminato, se continuò a collaborare con “Hannibal”, considerato da lui protettore ed amico. Lo storico Franco Venturi dimostra, che Poschiavo e la sua tipografia fu uno dei primi centri di diffusione delle idee rivoluzionarie, alla vigilia dell’Ottantanove (Franco Venturi, "Riformatori lombardi nel Settecento", Torino, Einaudi, 1978, tomo I, p.196). L’attività tipografica inizialmente era a nome di De Bassus, poi venne acquisita da Giuseppe e Bernardo Ambrosioni, suoi parenti, originari di Branzi, centro montano della Val Brembana, a cinquanta chilometri da Bergamo. Giuseppe aveva sposato la nobile Costanza de Gaudentiis, imparentata col barone poschiavino, e Bernardo fu il loro figliolo (1771, 1846), che, ospite del De Bassus, aveva seguito a Ingolstadt gli studi filosofici illuminati. Gli Ambrosioni svolsero nel bergamasco un’intensa attività politica e risultano iscritti, assieme all’altro tipografo Vincenzo Antoine, nell’"Elenco dei Franchi Muratori della Loggia Bergamasca", che aveva la sede in via del Mattume, ora via Sant’Alessandro (Barbara Cattaneo Mangini, "Editoria a Bergamo tra ‘700 e ‘800. Il caso Antoine", Atti dell’Ateneo di Bergamo 1996-97, vol. LX).

Nell’apologia intitolata "Vorstellung" il barone giustificò, innanzi ai Cantoni svizzeri, l’operato suo, ed esaltò la figura di Weishaupt, prima di recarsi a Monaco di Baviera per risolvere la questione dei suoi beni, sequestrati dal governo elettorale. De Bassus negò di ricoprire un posto di rilievo nella gerarchia della setta, anche se in realtà era un areopagita e addirittura il Superiore generale dell’Ordine e massimo responsabile del Dipartimento italiano. Adam Weishaupt voleva che gli illuminati s’espandessero in Italia e che fossero guidati, in Poschiavo, Traona e Chiavenna, proprio da lui, De Bassus. “In Italia – scriveva invece il conte Di Costanzo (Diomede) a Friedrich Münter (Syrianus) il 24 gennaio 1787 – conosco un solo Superiore importante, il barone De Bassus: egli risiede nei Grigioni, a Poschiavo. Se passa attraverso la Svizzera e la deviazione non la porta troppo fuori strada, vada a trovarlo; non si pentirà di aver conosciuto quella degna persona” (Carlo Francovich, Albori socialisti nel Risorgimento, Le Monnier, Firenze 1962, p.75). Anche il Barruel, nelle Memorie, più volte lo definisce Superiore e Aeropagita. Nell’autunno del 1781 Annibale (De Bassus) era giunto a Innsbruck, per far visita a una loggia massonica numerosa, composta soprattutto da trentini. Si trattenne a Samos (Innsbruck) sino all’anno successivo, inviando all’areopago, il 14 gennaio un rapporto dettagliato: “Qui a Samos – scrisse il mecenate di Mayr – c’è una loggia di 50 fratelli, tra i quali diversi valenti uomini e massoni, che si trovano qui nel Tirolo e nel Trentino in ogni località”. De Bassus precisava che “il venerabile era il conte Künigl”, ciambellano dell’imperatore, il quale fu da lui iniziato all’illuminatismo. Il barone, dopo  aver predisposto una fitta organizzazione illuminata a Innsbruck, ebbe la necessità di stabilire un altro solido punto di riferimento a Vienna, perché Tirolo e Lombardia si sentivano politicamente più vicini all’Austria, che a Monaco di Baviera (vedi anche la sua Vorstellung). Il conte di Cobenzel (Arriano) gli servì da tramite per consolidare le logge illuminate viennesi: “Questo è il momento – consigliò Hannibal a Spartacus – che il fratello Arriano vada a Vienna per operare qualcosa di grande, anzi di grandissimo (cioè arruolare Giuseppe II). Lì dovrebbero esserci circa 400 massoni. Essi brancolano nel buio e non aspettano che un cenno per associarsi a noi”. A Vienna De Bassus e Cobenzel incontrarono il favore di Joseph von Sonnenfels (Numa) e di Ignaz von Born (Furio Camillo), che, a loro volta, insinuarono e arruolarono “molti massoni razionalisti, nauseati e stanchi dei sogni mistici e alchemici dei rosacroce”. Tra di essi c’erano Wolfgang Amedé e Leopold Mozart. Qualche legame tra Mozart e Mayr dovette esserci, se in una lettera non datata, dopo la morte del salisburghese, Costanza Mozart si preoccuperà di raccomandare a Mayr il figlio: “Non si meravigli – scriveva - se, non avendo mai avuto la fortuna di poterLe parlare a Vienna, mi prendo la libertà di importunarLa con una così grande preghiera; ma cosa non farebbe una madre per rendere più felice possibile il proprio figliolo? Il mio figlio maggiore, che si trova a Milano per studiare la musica, e che ha sentito tanto parlare della Sua fama e del Suo grande talento, non mi dà pace affinché io lo raccomandi alla Sua bontà, alla Sua amicizia. Non me ne voglia, illustre Signor Kappelmeister, se La prego di prendersi a cuore un giovane il cui padre ha avuto nei suoi riguardi il solo torto di morire troppo presto. In tal modo Ella farà felice e figlio e madre, la quale mai cesserà dal dirsi la Sua riconoscentissima, rispettosissima Costanza Mozart”. Anche Carlantonio Pilati servì a De Bassus per consolidare la diffusione illuminata a Vienna, che, non a caso, è chiamata Roma ("caput mundi"), nella toponimia illuminata: “Pilati – scrive Hannibal a Spartacus - è già in viaggio verso Roma (Vienna), ma il prossimo Pharavardin (aprile) sarà di ritorno. Se mi dovesse riuscire di averlo per collaboratore, allora sì che vedreste il Lazio avvicinarsi all’età dell’oro con passi da gigante”. Il Lazio, nella geografia misteriosa della setta, è, insieme alla Morca, una delle provincie del distretto della Pannonia (Baviera, Svevia e Franconia), amministrate dal barone di Schrockenstein, che era stato arruolato da Weishaupt a Eichstadt col nome di Maometto. Con l’avvento della Restaurazione, Mayr considererà “l’età dell’oro” un fatto compiuto, che egli celebrerà nel 1816 scrivendo la Cantata “Il Secol d’Oro”, quando è ristabilito il dominio austriaco nel Lombardo-Veneto. La composizione, per basso e orchestra, che abbiamo revisionato per una prima esecuzione mondiale a Sondalo, il 9 maggio 1998, cita espressamente il Lazio, dal quale gli antichi dicono che Saturno sia disceso per portare a tutte “le beate genti” il “Secol d’Oro” insieme ad “un almo ristoro”. La conquista dell’età aurea non è pacifica, come lascia intendere il compositore: “Del fulgid’oro al lampo / Pugna il guerrier sul campo” e ancora “A sì gradita vista / Nuovo coraggio acquista / E fra l’orror di morte / forte a pugnar sen va”. L’anno 1816 introduce insomma un secolo “che fra i secoli che furo / Questo è proprio il secol d’oro. / Cari amici miei credete / Più bel secolo non v’è”. Il testo completo, probabilmente redatto dallo stesso Mayr per le accademie minervali bergamasche, e i files musicali sono pubblicati in Internet su italianOpera. De Bassus affidò al marchese Costanzo Di Costanzo (Diomede) la cura dei rapporti tra Vienna, Poschiavo e la Valtellina. Intanto continuava a far proseliti a Milano, ove era stato invitato, per questioni amministrative, dal governatore Firmian. In un rapporto segreto, spedito da Traona (in provincia di Sondrio) all’areopago, leggiamo, che il barone da Innsbruck si era recato a Milano, ove aveva affiliato il conte Joseph von Wilczeck, consultore del governo milanese e più tardi ministro plenipotenziario della Lombardia, che tornerà utilissimo per la diffusione dell’Ordine: “A Milano – osserva De Bassus - non c’è alcuna loggia e, a quanto mi dice il conte von Wilczeck, da me interrogato in proposito, è anche assai difficile fondarne una, dato il particolare modo di vivere dei milanesi. Ma ce n’è una a Cremona, dove però non mi sono potuto recare per ragioni di tempo e per non affrontare spese eccessive. A Pavia ci sono  splendidi professori; e l’Università è in fiore: ma simili viaggi richiedono tempo e denaro ed io ne ho già sacrificato molto”. Nella città di Accaron (Chiavenna, in provincia di Sondrio), mise Archimede a capo di una loggia. Comunicò a Diomede (Di Costanzo) “d’aver fatto minervale Archimede, per poterlo adoperare come segretario nelle iniziazioni di Accaron. È un uomo splendido – commentò - e sarà di grande utilità per l’Ordine”. Questo “N.N. di Chiavenna nei Grigioni (Archimede)” risulta iscritto negli elenchi pubblicati dalle autorità inquirenti e conservati in un archivio privato (Max Lings, "Zur Geschichte des Illuminatenordens", in “Historisch-Politische Blätter für das Katholische Deutschland”, Monaco 1898). Mentre Archimede curava le iniziazioni, Annibale istituiva l’asse illuminato Chiavenna-Trento, che gli serviva da base per “illuminare” Rovereto, tramite il conte Giovanni Giulio Todeschi e Verona, colla complicità del Pilati e di Clementino Baroni. Nel 1793 alcuni studenti trentini fondarono a Innsbruck un club giacobino diretto dagli illuminati, sotto il controllo del De Bassus, e costituito da giovani italiani, tedeschi e svizzeri dei Grigioni e del Canton Ticino. Costoro, tramite Poschiavo e la Valtellina, avevano contatti con Milano, Pavia e Modena, spingendosi sino in Corsica, come confermano gli articoli della "Spezieria" sondriese (gazzetta pubblicata probabilmente dal De Bassus con lo pseudonimo di Lazarus Jona) e per scopo miravano all'unità nazionale e alla costituzione dei due Stati unitari dell’Italia e della Germania meridionale. Gli illuminati, grazie a De Bassus e colla complicità di Friedrich Münter, si spinsero sino a Napoli e in Toscana, per generare di lì altre società segrete iniziatiche, gradualistiche, perché il segreto era svelato per gradi, e politiche, come saranno la Carboneria o l’Adelfia di Filippo Buonarroti, le quali sosterranno un programma anarchico, comunista ed egualitario. Un settimanale rivoluzionario che si vendeva ai tempi della Rivoluzione francese nei Grigioni in Valtellina, che godeva, rispetto ad altri Stati italiani, di una maggiore libertà di stampa, era intitolato "Spezieria", o meglio, per intero, "Appendice / politica / a tutte le gazzette / e / altri foglietti di novità / o sia / la Spezieria di Sondrio / per l’anno 1789. Anno primo. / In Valtellina presso i Grigioni". “È il 1789 ed ecco che un bizzarro ingegno appunto in quell’anno mette a conversar di politica la società frequentatrice la Spezieria di Sondrio, unico asilo pubblico allora per le ciance sondriesi. È un simposio, in cui si passano in rassegna le notizie del giorno e si commentano con la logica delle dominanti dottrine” - scrive l’autore anonimo dell’articolo in due puntate sulla Spezieria di Sondrio, apparso nel settimanale "Valtellina" del 15 e 22 novembre 1862. Gli interlocutori e protagonisti dei dialoghi, oltre al direttore del foglio Lazzaro Jona, sono personaggi caratteristici e inventati: lo speziale Signor Balsamo, l’ex gesuita Abate Arduino, l’ufficiale prussiano Barone d’Emaus e l’abate Trifonio. L’autore era sconosciuto e custodiva nel segreto il nome reale, per non essere perseguito. Il giornale dialogato aveva per modello il massonico "Café politique d’Amsterdam", avversava i privilegi feudali, aristocratici e il militarismo, sosteneva la libertà di stampa e il Terzo Stato, cioè quello che non era né di nobili e né di religiosi, ed esaltava le posizioni liberali, democratiche e anche radicali della rivoluzione americana e francese, rappresentate da Franklin e Mirabeau. L’elenco delle materie, trattate nell’anno 1789, comprendeva principalmente la politica, ma anche l’economia, la medicina e la giurisprudenza. Il fatto che Sondrio sia presente nel titolo, non vuol dire che la Gazzetta fosse stampata proprio a Sondrio. Battista Leoni, nel contributo intitolato "L’appendice politica a tutte le gazzette e altri foglietti di novità, o sia la Spezieria di Sondrio (1789-90) e il suo compilatore", ipotizza che il settimanale sia opera del rivoluzionario, Massone Giovanni Ristori e che il foglio fosse stampato a Modena, la cui biblioteca tuttavia non possiede neppure una copia della "Spezieria. D"a una indagine all’Archivio di Stato di Modena risulta invece che una Società tipografica modenese aveva stampato un foglio periodico intitolato "Spezieria di Sondrio". Sul luogo di pubblicazione, cioè Modena, ci sono pochi dubbi, ma nel Dialogo quinto, pubblicato sulla "Spezieria", si legge che l’estensore non è Ristori. Secondo Cesare Cantù “quella gazzetta non si stampava a Sondrio, ma a Cremona” ("Storia della città e diocesi di Como", Firenze 1856, vol.II p.240). In quella città le logge massoniche erano state “conquistate” dal poschiavino De Bassus: “Se l’areopagita Annibale spera meno a Milano, dove non si trovano alcune Logge massoniche, scrive che ne troverà bene a Cremona e Pavia e nel resto d’Italia. Chiede pertanto che si aumenti il Dizionario geografico con quelle città, per le conquiste che si promette di farvi” – annota Augustin Barruel nelle sue "Memorie per la storia del giacobinismo". Renato Sòriga attribuisce senz’altro "La" "Spezieria" ai torchi della tipografia di Poschiavo, organizzata dal De Bassus. Se è vero che la tipografia Ambrosioni - De Bassus, iniziata nel 1780 - 1781 è cessata nel 1790 (continuata forse dall’Illuminato Ambrosioni), come riferisce Carlo Francovich negli "Albori socialisti nel Risorgimento", anche l’ipotesi di Poschiavo non è da escludere: “De Bassus - secondo lo storico - poco dopo il 1790, in seguito al sequestro dei suoi beni in Baviera, fu costretto a vendere la stamperia, interrompendo così l’attività editoriale, i cui fondi andarono miseramente dispersi. Ed è sintomatico che in quello stesso periodo cessasse le pubblicazioni anche "La Spezieria" di Sondrio, la quale, secondo il programma fissato, sarebbe dovuta uscire per un anno ancora, con il sottotitolo: "Corso politico sopra la Rivoluzione di Francia, e gli affari delle altre potenze alla stessa epoca" (nella nota al secondo volume, pag.176). Le medesime ragioni economiche che bloccarono la tipografia di Poschiavo, stroncarono anche la pubblicazione del nostro periodico, che già nell’ultimo mese del 1790 accennava ad ‘alcune difficoltà non prevedute’ che avevano ‘ritardato la pubblicazione di questi fogli’”.

Visto i contenuti del settimanale, possiamo pensare a una partecipazione diretta di De Bassus. Anche la copia della Gazzetta conservata al Museo del Risorgimento di Milano, collezione Bertarelli n.15175, è catalogata con la nota di Sòriga: “Il giornale, ch’era settimanale, fu stampato forse a Coira o a Poschiavo” indicando nel De Bassus il probabile estensore. Lo storico Franco Venturi, proprietario di una copia delle due annate complete, identifica il sedicente Lazzaro Jona, direttore del giornale, con il De Bassus, che avrebbe assunto quel nome ebraico, come Filippo Buonarroti lo pseudonimo di Abraham Levi Salomon, nel redigere il "Giornale Patriottico" in Corsica. Ancora Francovich, noto studioso della Massoneria, dice che quella gazzetta è “da escludere sia stata stampata a Sondrio”, dato che nessuno storico locale, né alcuno dei repertori lo registra, ”ed è quindi da attribuirsi senz’altro al De Bassus e ai suoi collaboratori”. La "Spezieria" usava il nome di Sondrio e una datazione fasulla, per salvaguardarsi dalla censura. Comunque sia, lo sconosciuto direttore del settimanale “si dice abitasse in un tugurio, in una Valle riposta in mezzo alle Alpi”, come si legge nel Dialogo V della Spezieria, vol.I, pag. 127. Il riferimento potrebbe essere a Poschiavo e alla sede del Podestà, che ospitò nel 1793 il futuro re di Francia Luigi Filippo d’Orléans, venuto segretamente da Parigi, dopo essere fuggito alla Rivoluzione, il quale la giudicò “luogo di grande sudiciume”. Non era certo l’elegantissimo Hotel Albrici o Hotel Posta, come divenne poi dopo il restauro, del quale i poschiavini vanno oggi orgogliosi. Ma che ci faceva a Poschiavo il 24 settembre 1793 Luigi Filippo, che aveva sopportato un viaggio di stenti, dormendo in un fienile a Gordona, superando il passo del Bernina, mentre sprofondava nella neve? "La Spezieria" di De Bassus aveva parteggiato decisamente per Luigi Filippo d’Orléans, che tra l’altro era un esponente di spicco del Grande Oriente di Francia. Dopo essere partito da Parigi l’11 aprile con 300 Luigi in tasca, con sei mesi di viaggio alle spalle, il duca arriva a Poschiavo, e il giorno seguente riparte. La piccola Poschiavo doveva contare davvero molto, anche per un futuro re. La missione finiva lì. Luigi Filippo d’Orléans, duca di Chartres, passava da Novate Mezzola, per il porto di Riva, raggiungendo lo Spluga (vedi Guido Scaramellini, "L’ultimo re di Francia dorme sul fieno a Gordona", Quaderni Valtellinesi IV trimestre n.64, Sondrio 1997). Lo stesso tragitto Novate Mezzola – Chiavenna - Spluga l’aveva percorso nel 1788 l’Illuminato Wolfgang Goethe di ritorno da Milano e l’Illuminato Friederich Münter, teologo, filosofo danese, dopo il viaggio a Roma, probabilmente per incontrare De Bassus.

"La Spezieria" sondriese dà risalto anche alla vicenda di Cagliostro, recensendo il "Liber Memorialis de Caleostro cum esset Roboreti" del conte Clementino Vannetti, ricordando l’esatta profezia del Mago della presa della Bastiglia, ma rigettando la tesi che la rivoluzione francese sia frutto di un complotto massonico. L’argomento stava a cuore agli Illuminati, perché la Chiesa, che aveva arrestato Cagliostro, cercava di farlo passare per uno dei loro capi, trasformando il processo contro il Mago imbroglione, in uno stato d’accusa dell’Illuminatismo. Nell’articolo della "Spezieria", nel secondo volume, l’Illuminato Signor Balsamo (lo Speziale) rigetta e controbatte le accuse, pubblicando una Apologia di Weishaupt, su modello di quella di De Bassus prodotta innanzi al Tribunale delle Tre Leghe, in forma di lettera, e spedita a Sondrio da Francoforte il 20 maggio 1790. In essa si afferma “che le avventure di Cagliostro sono uno dei palloni politici coi quali il pubblico si diverte. Ciascuno lo gonfia a suo talento, parla, scrive, decide e non esamina. Si pretende che Cagliostro sia Illuminato, si rinnovano le accuse contro l'Illuminatismo, ma con quale fondamento? Noi abbandoniamo Cagliostro al suo destino, e crediamo che, prima di condannare un sistema, si dovrebbe conoscerlo”. Il foglio conclude che “il sistema degli Illuminati non corrisponde a quanto si narra di Cagliostro: l’Illuminatismo richiede conoscenze letterarie e si occupa con prudenza e moderazione del comun bene. Cagliostro è privo di tali conoscenze ed il suo spirito torbido, inquieto ed impetuoso altro finora non sognò che la trasformazione dei metalli, l’evocazione degli spiriti e la medicina universale”.

Il Verter di Mayr è nato in ambiente illuminato. La musica, in base all’uso dei temi, costituisce una nuova chiave di lettura per il Werther di Goethe e il Flauto Magico di Mozart (1791). Mayr utilizzando melodie del Singspiel mozartiano per un’Opera lirica illuminata, dimostra che anche la "Zauberflöte" è strettamente legata alla filosofia degli illuminati di Baviera. Il Singspiel del salisburghese, nella visione del contemporaneo e “fratello” Mayr, esalta quindi la massoneria illuminata razionalista (vedi il nostro studio su "Goethe, Mayr e Mozart, fratelli massoni illuminati") e, come l’opera del "Gross-Kophta" di Goethe (1791) o il citato articolo della Spezieria sull’imbroglio del mago siciliano (1790), satireggia la massoneria di rito egiziano, fondata da Cagliostro, ai danni di una nobiltà credulona e sciocca. 

Anna Trombetta e Luca Bianchini

Anna Trombetta e Luca Bianchini sono entrambi laureati in musicologia e svolgono attività di critici musicali e pubblicisti. Studiano e revisionano a computer opere liriche o strumentali inedite, come "l’Armida Immaginaria" di Cimarosa, prodotta per il Teatro Bellini di Catania e il Festival di Martina Franca, registrata dalla Dynamic in tre CD e trasmessa, nella versione eseguita a Montpellier, da Radio France; o la "Medea" di Pacini, diretta da Richard Bonynge e registrata dall’Arkadia in due CD o pezzi inediti di Donizetti, eseguiti in prima mondiale al Teatro Donizetti di Bergamo, nel corso delle celebrazione del Bicentenario. Hanno pubblicato opere di Johann Simon Mayr, Vivaldi, Zingarelli e articoli divulgativi o specialistici su riviste musicali.