Giuseppe (Fortunino Francesco) Verdi

(1813-1901)

Les Vêpres siciliennes

(Grand- opéra) in 5 Atti è stata eseguita il 13 giugno del 1855 a Parigi (Théâtre de l'Opéra)

Personaggi

Guy de Montfort, governatore di Sicilia sotto Carlo d'Angiò, re di Napoli (Baritono); il signore di Béthune (Basso) e il conte di Vaudemont (Basso), ufficiali francesi; Henri, giovane siciliano (Tenore); Jean Procida, medico siciliano (Basso); la duchessa Hélène, sorella del duca Federigo d'Austria (Soprano); Ninetta, sua cameriera (Contralto); Danieli, siciliano (Tenore); Thibault (Tenore) e Robert (Baritono), soldati francesi; Mainfroid, siciliano (Tenore); siciliani e siciliane, soldati francesi

I Vespri Siciliani
Dramma in cinque atti
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Augustin Eugène Scribe e Charles Duveyrier
Traduzione di Arnaldo Fusinato

L'azione è in Palermo, l'epoca il 1282.

ATTO PRIMO
SCENA I

Il teatro rappresenta la gran Piazza di Palermo.
In fondo alcune strade ed i principali edifizi della città. A destra dello spettatore il palazzo di Elena. A sinistra l'ingresso ad una caserma con fasci d'armi. Dallo stesso lato il palazzo del governatore, a cui si ascende per una gradinata.
Tebaldo, Roberto, Soldati Francesi, Siciliani, poi Bethune e Vaudemont.
(Tebaldo e Roberto con parecchi soldati francesi hanno recato una tavola dinanzi la porta della caserma, vi siedono intorno e bevono. Siciliani e Siciliane attraversano la piazza, formano de' gruppi qua e là, guardano biecamente i soldati francesi.)

CORO (TEBALDO, ROBERTO, SOLDATI FRANCESI):
Al cielo natio,
Sorriso di Dio,
Voliam col pensier
Tra i canti e i bicchier.
Con fronde d'alloro,
col vino e coll'oro
Del pro' vincitor
Si premii il valor.

SICILIANI: (a dritta ed a mezza voce):
Con empio desio
Al suolo natio
Insultan gl'iniqui
Fra i canti e i bicchier.
Oh dì di vendetta,
Men lento t'affretta,
Ridesta il valor
Ai vinti nel cor

TEBALDO: (alzando il bicchiere):
Evviva, evviva il grande capitano!...

ROBERTO:
Di Francia orgoglio e primo per valor!

TEBALDO:
Fulmine in guerra...

ROBERTO:
Mai non
fere invano,
Ed è de' suoi l'amor!

(In questo mentre escono dalla caserma Bethune e Vaudemont tenendosi in atto famigliare)

VAUDEMONT:
Così di queste mura
Che chiamano Palermo,
Lo disse il General!... mio duce, è ver?...
(Barcollando alquanto e indirizzandosi a Bethune)
Noi siam signori!

BETHUNE (ridendo):
Olà! il tuo piè vacilla!
Soldato, ebbro tu sei!

ROBERTO (ridendo):
Ebbro son io... d'amore!
Ogni beltà mi piace!

BETHUNE (sempre ridendo):
È il siciliano
Geloso, e alter delle sue donne il core!

ROBERTO:
Cor non v'ha che non ceda
(sempre barcollando)
D'un cimitero alla vista!
Vedrai'

TEBALDO:
Ma i lor consorti?

ROBERTO:
Vincitor generoso
M'avran donna gentile e facil sposo

CORO DI FRANCESI:
Al cielo natio, ecc.

CORO DI SICILIANI:
Con empio desio, ecc.

ATTO PRIMO
SCENA II

La Duchessa Elena, Ninetta, Danieli e detti. Elena vestita a lutto, appoggiandosi al braccio di Ninetta e seguita da Danieli, attraversa la piazza venendo da sinistra e dirigendosi verso il proprio palazzo: ha un libro di preci tra le mani. È salutata con rispetto dai Siciliani, coi quali fami gliarmente si trattiene in colloquio.

VAUDEMONT:
Qual s'offre al mio sguardo - del ciel vaga stella?
(A Bethune:)
Tra noi qual si noma - sì rara beltà?

BETHUNE:
A lutto vestita - del prence sorella,
Cui tronco fu il capo - ostaggio qui sta!
Or mesta deplora - l'amato fratello...

VAUDEMONT (con vivacità):
Amico allo Svevo - che tanto l'amà.
Affetto fatale - che il sangue scontò!

BETHUNE:
Quest'oggi ricorda quel dì doloroso...

VAUDEMONT:
All'ombra fraterna - invoca riposo.

BETHUNE: (Sorridendo)
E ultrice su noi - la folgor del ciel!

VAUDEMONT:
E a dritto, ché il duce - fu troppo crudel!

BETHUNE:
Ah! taci: ad un soldato
Mal s'addicon tai detti!...

(Bethune saluta rispettosamente Elena e rientra nella caserma con Vaudemont).

ATTO PRIMO
SCENA III

Detti, meno Vaudemont e Bethune.

DANIELI:
O dì fatale,
Giorno di duol, ove il nemico ferro
De' migliori suoi figli
Il suol materno orbava!

ELENA (a parte):
Mio fratel, Federigo! o nobil alma!
Fior che rio turbin svelse
Nel suo primier mattino!
Morte, morte al crudel che la tua vita
Troncava... E indifferente a tanto eccidio
Qui stassi ognun!... Da me vendetta omai,
O mio fratel, e sol da me tu avrai.

ROBERTO:
Assai nappi vuotammo: or la canzone
Ci allegri... Il Siciliano
(alzandosi da tavola)
Canti le nostre glorie!

TEBALDO:
Il pensi?

ROBERTO:
Per mia fé! canto gentile
(completamente ubbriaco)
Fra queste belle chi sciorrà?
(Avvicinandosi barcollando ad Elena)
Fior di beltade, a te s'aspetta! or via..;

NINETTA (a Danieli):
Di noi che fia?

ROBERTO:
Signor mi fe' dei forti
Il diritto, e al vincitor mal ti sottraggi!
Non più s'indugi! olà!

NINETTA: (Con isdegno e facendo atto di proteggere Elena)
Soldato! e tanto ardite!...

ELENA: (Ritenendo Ninetta)
Taci!

ROBERTO: (Minaccioso ad Elena)
Tu canterai!... Ovver..

ELENA (con calma):
Udite!...

(Roberto e Tebaldo coi Francesi hanno di nuovo occupato il loro posto intorno la tavola: poco a poco il popolo siciliano s'avvicina ad essi, quasi circondandoli durante l'aria seguente)

ELENA (avanzandosi sul limitare della scena):
In alto mare e battuto dai venti,
Vedi quel pino in sen degli elementi
A naufragar già presso? - ascolti il pianto
Del marinar pel suo navile infranto?
Deh! tu calma, o Dio possente,
Col tuo riso e cielo e mar;
Salga a te la prece ardente,
In te fida il marinar!
Iddio risponde in suo voler sovrano:
“A chi fida in se stesso il cielo arride.
Mortali! il vostro fato è in vostra mano!”.
Coraggio, su coraggio,
Del mare audaci figli;
Si sprezzino i perigli;
È il gemere viltà!
Al ciel fa grave offesa
Chi manca di coraggio;
Osate! e l'alta impresa
Iddio proteggerà!
(Guardando con espressione il popolo che la circonda)
E perché sol preci ascolto?
Perché pallido è ogni volto?
Nel più forte del cimento
Voi tremate di spavento?
Su, su, forti! al mugghiare dell'onda
E agli scrosci del tuono risponda,
Si desti il vostro ardor,
Invitti cor!
Coraggio, su coraggio, ecc.

CORO DI SICILIANI (a parte e a mezza voce):
A quel dir - ogni ardor
Si destò - nel mio cor.
Sospirar - è viltà!
L'onta ria - vendichiam,
Il servir - disprezziam,
E con noi - Dio sarà.

TEBALDO, ROBERTO E SOLDATI FRANCESI:
(bevendo senza prestare attenzione a quanto succede intorno ad essi):
Di vin colmi i bicchieri
Rallegrano ogni core,
Raddoppiano il valore;
Beviamo alla beltà!

ELENA:
Santa voce dell'onore
(con forza e guardando i Francesi che vêr lei si rivolgono):
A quei cori già parlò.

ELENA, NINETTA, DANIELI (con forza):
Coraggio, su coraggio,
Del mare audaci figli;
Si sprezzino i perigli,
Iddio vi guiderà!
Si vendichi l'offesa,
Si spezzi il rio servaggio;
Osate! e l'alta impresa
Il ciel proteggerà!

SICILIANI (con forza):
Coraggio, su coraggio!
Siamo del mare i figli:
Si sprezzino i perigli,.
Iddio ci guiderà.
Sì, vendichiam l'offesa,
Spezziamo il rio servaggio;
Osiamo! e l'alta impresa
Il ciel proteggerà!

CORO DI FRANCESI (sempre a tavola):
Più di cotal frastuono,
D'urtati nappi il suono,
Gradito a noi sarà!
Col gioco e il vin l'amore
Scalda al soldato il core,
Di sé maggior lo fa.

ELENA, NINETTA, DANIELI E CORO DI SICILIANI (animandosi mutuamente):
Andiamo! orsù, coraggio,
Si vendichi l'oltraggio,
L'acciar risplenda - del prode in man!
Corriam, feriam!

(I Siciliani con pugnali sguainati van sopra ai Soldati francesi: un uomo comparisce d'un tratto sulla scalinata del palazzo del governatore: è solo e senza guardie)

TUTTI: (Arrestandosi spaventati)
Egli! o ciel!

ELENA:
O furor!... Che mai veggio?
Innanzi a lui paventa ognun... gran Dio!

(Monforte getta uno sguardo con calma sulla turba e fa un gesto imperioso: fugge ognuno lasciando deserta la piazza: non restano in iscena che Monforte, Elena, Ninetta e Danieli).

 

ATTO PRIMO
SCENA IV

Elena, Ninetta, Danieli e Monforte.

ELENA:
D'ira fremo all'aspetto tremendo,
L'alma mia raccapriccia d'orror
O fratello! a te penso gemendo,
E vendetta sol spira il mio cor!

NINETTA, DANIELI:
Tace l'ira all'aspetto tremendo,
Il mio seno s'agghiaccia d'orror!
Al fratello ella pensa fremendo,
E vendetta già spira il suo cor!

MONFORTE (a parte):
D'odio fremon compresso, tremendo,
Ma di sprezzo sorride il mio cor!
Fremin pur, ma divorin tacendo
La vergogna e l'imbelle furor!

 

ATTO PRIMO
SCENA V

Gli stessi Arrigo arrivando dal fondo vede Elena e corre a lei senza scorgere Monforte, che s'arresta all'arrivo di Arrigo ed a lui s'avvicina lentamente.

ARRIGO:
O donna!

EALENA:
O ciel! chi veggio?
Arrigo!... e il crederò?... Tu prigioniero...

ARRIGO (con vivacità):
Ah! sì, tra cari miei,
Del mio destino incerti, in questo loco
Libero io stommi!

ELENA, NINETTA:
Oh! che di' tu?

ARRIGO:
Tremanti
Giudici pronunciâro equa sentenza!
ECotanto osâro di Monforte in onta!

LENA, NINETTA:
Gioia! e fia ver?

ARRIGO:
Sì, appieno assolto io sono!
E fu mera giustizia e non perdono.

MONFORTE (avanzandosi sorridente):
Di sconoscente core
Segno è tuo folle ardir: omaggio a lui
Rendi di sua clemenza!

ARRIGO:
Meglio di' ch'egli è lasso! al ferro il braccio
Or manca ed alle faci,
Se non il core: e a fine
Di colpir meglio, si riposa!

ELENA (con ispavento):
Ah taci!

NINETTA:
Non osar!...

ARRIGO:
E perché? - così il recasse
Innanzi a me fortuna
E a mia vendetta!

MONFORTE: (Tranquillamente)
Il tuo timor rinfranca:
Or lo vedrai!

ARRIGO:
Dov'è?

MONFORTE:
Qui stassi!

ARRIGO:
Cielo!

ELENA:
Ahimè! che fia di lui?

MONFORTE:
Ebben! non mi rispondi?

ARRIGO:
Ah! nol poss'io... nol vedi?... io non brando!

MONFORTE:
Sgombrate! (Ad Elena, Ninetta e Danieli) e tu qui resta
(ad Arrigo): io tel comando!

(Elena, Ninetta e Danieli entrano nel palazzo a dritta; Arrigo vorrebbe seguirli, ma s'arresta al cenno di Monforte).

ATTO PRIMO
SCENA VI

Monforte ed Arrigo.

MONFORTE:
Qual è il tuo nome?

ARRIGO:
Arrigo!

MONFORTE:
Non altro?

ARRIGO:
Il mio rancore
Ti è noto! al mio nemico
Ciò basti!

MONFORTE:
E il genitore?

ARRIGO:
Io genitor non ho!
So che ramingo ed esule
Traeva i giorni suoi
Lungi dal tetto patria,
Lontan dai cari suoi...

MONFORTE:
Or di tua madre narrami!

ARRIGO:
Ah! non è più colei!
Già dieci lune scorsero,
Che lasso! io la perdei;
Or la ritroverò! (Mostrando il cielo)

MONFORTE:
Io so che pria di perderla
Del Duca Federigo
T'accolse già la reggia...

ARRIGO:
Sì,m'albergò la stanza
Di quell'eroe!...

MONFORTE:
Fellone!

ARRIGO:
Su me vegliò magnanimo
Tra le guerriere squadre;
I passi miei sorreggere
Ei pur degnò qual padre;
Gli alti d'onore esempi
Fu gloria mia seguir;
Io per lui vissi e intrepido
Per lui vogl'io morir.
Di giovane audace
Pùnisci l'ardir;
Mi sento capace
D'odiarti e morir!
Non curo ritorte,
Disprezzo il dolor;
Incontro alla morte
Va lieto il mio cor!

MONFORTE (guardando. Arrigo):
(Ammiro e mi piace
In lui quell'ardir:
Lo credo capace
D'odiarmi e morir!
Non cura ritorte,
Disprezza il dolor;
In faccia alla morte
Non trema il suo cor!)

Dovrei punirti, incauto,
Ma scuso un folle ardire!

ARRIGO:
Pietade in te?

MONFORTE:
Sì! tacciono
In alma grande l'ire:
E per salvarti io voglio
Offrire al tuo valor
Eccelsa meta, o giovane,
Degna d'un nobil cor.
Al sol pensier di gloria
Fremere in sen tu dêi!

ARRIGO:
La gloria! - e dove mercasi?

MONFORTE:
Sotto i vessilli miei!
Vien tra mie schiere intrepide,
T'affida a' mio perdon;
Vieni, per me sei libero!

ARRIGO:
No, no! sì vil non son!
No, no: d'un audace
Punisci l'ardir:
Mi sento capace
D'odiarti e morir!
Disprezzo ritorte,
Non curo il dolor:
Incontro alla morte
Va lieto il mio cor!

MONPORTE:
(Ammiro e mi piace
In lui quell'ardir:
Sarebbe capace
D'odiarmi e morir!
Non cura ritorte,
Disprezza il dolor:
In faccia alla morte
Sta saldo il suo cor!)
(Freddamente):
Adunque vanne! e immemore
La mia clemenza obblia!
Ma, giovinetto, ascoltami:
Odi un consiglio in pria!
Là vedi quell'ostello!
(Indicando il palazzo di Elena)

ARRIGO:
Ebben?

MONFORTE:
La soglia mai
Non dei varcar di quello.

ARRIGO:
E perché?

MONFORTE:
Lo saprai!
Paventa che il tuo core
(in tuono misterioso)
Arda d'infausto amore!

ARRIGO: (Con sorpresa)
O ciel!

MONFORTE:
A me lo credi,
L'amor ti perderà!

ARRIGO: (Turbato)
Chi disse a te?...

MONFORTE:
Tu il vedi!
Leggo nel tuo pensiero,
Per me non v'ha mistero,
Tutto a me noto è già:
Ah fuggi! io tel ripeto!

ARRIGO:
E con qual dritto?

MONFORTE:
Incauto!
Il dissi, io voglio! va!

ARRIGO:
Non curo il tuo divieto,
Legge il mio cor non ha.

MONFORTE:
Temerario! quale ardire!
Meno altier t'arrendi a me!
Non destarmi in sen quell'ire
Che cadran su voi, su te!

ARRIGO:
Sono libero, e l'ardire
Di grand'alma è innato in me!
L'ira tua mi può colpire,
Ma non tremo innanzi a te!

MONFORTE:
Freno al tuo folle ardire!
E quella soglia non varcar giammai!
Io tel comando!

ARRIGO:
Tu?

MONFORTE:
SI! l'odio mio
Fu ognor mortale...

ARRIGO:
E pure io lo disprezzo!

MONFORTE:
E morte avrai!

ARRIGO:
Per lei
disfido io morte!

(Sale i gradini del palazzo di Elena: batte: la porta si apre: Arrigo vi entra. Monforte lo guarda con commozione, ma senza sdegno)

Cade il sipario.

ATTO SECONDO
SCENA I

Una ridente valle presso Palermo. A dritta colline fiorite e sparse di cedri e d'aranci, a sinistra la Cappella di Santa Rosalia, in fondo il mare. Due uomini arrivano in una scialuppa e guadagnano la riva; il pescatore che la conduce si allontana.

PROCIDA (solo):
O patria, o cara patria, alfin ti veggo!
L'esule ti saluta
Dopo sì lunga assenza;
Il tuo fiorente suolo
Bacio, e ripien d'amore
Reco il mio voto a te, col braccio e il core!
O tu, Palermo, terra adorata,
De' miei verdi anni - riso d'amor,
Alza la fronte tanto oltraggiata,
Il tuo ripiglia - primier splendor!
Chiesi aita a straniere nazioni,
Ramingai per castella e città:
Ma, insensibili ai fervidi sproni,
Rispondeano con vana pietà! -
Siciliani! ov'è il prisco valor?
Su, sorgete a vittoria, all'onor!

(Manfredo e parecchi compagni di Procida approdano colle barche e discendono dalla collina a diritta, e gli fan cerchio)

Ai nostri fidi nunzio
Vola di mia venuta,
E della speme che in lor cor ripongo.
Tu va in traccia d'Arrigo: e lui previeni
(ad un altro)
E la Duchessa ancora,
Che qui entrambi li attendo e tra brev'ora!

(I due partono, gli altri si fanno intorno a Procida)

Nell'ombra e nel silenzio
Più certa è la vendetta;
Non teme e non l'aspetta
Il barbaro oppressor.
Santo amor; che in me favelli,
Parla al cor de' miei fratelli;
Giunto è il fin di tanto duolo,
La grand'ora alfin suonò!
Salvo sia l'amato suolo,
Poi contento io morirò!

CORO (a mezza voce):
Nell'ombra e nel silenzio
Più certa è la vendetta;
Non teme e non l'aspetta
Il barbaro oppressor.

PROCIDA:
Partite - silenzio,
Prudenza ed ardir!

CORO:
Partiamo - silenzio,
Prudenza ed ardir!
(Partono)

PROCIDA:
Alfin, diletti amici,
(scorgendo Elena ed Arrigo)
Io vi riveggo!

 

ATTO SECONDO
SCENA II

Procida, Elena ed Arrigo venendo dalla chiesetta a sinistra.

PROCIDA (andando loro incontro):
Voi, Duchessa!... Arrigo!...

ELENA:
È lui!

ARRIGO:
Procida!... amico!...

PROCIDA:
Il vostro servo!...

ELENA:
Nostra sola speranza!

PROCIDA:
Bisanzio e Spagna scorsi,
Chiedendo ovunque aita!

ELENA:
Di Pietro d'Aragona è nostro il voto?

ARRIGO (con ansietà):
Esso è per noi?

ELENA:
Che ti promise?

PROCIDA:
Nulla
Ancora; perché in nostro
Favor la spada egli disnudi alfine,
Vuole che insorga la Sicilia intera!
A tal prezzo è per noi. - E la Sicilia
E pronta? dite: che sperate omai?

ARRIGO:
Nulla! sommesso il core,
Impaziente freme,
Ma incerta e lenta, o tutto o nulla teme

PROCIDA:
S'infiammi il suo disdegno
E stretti e insiem concordi
Opriam!

ARRIGO:
Già lo tentai! scarso di forze
Ancora, il popol dubbia!

PROCIDA:
Ebben, dovremo
Suo malgrado tentare
Un colpo audace, estremo!
E sorga il giorno alfine
Che di novelli oltraggi
Lo colmi il fero Franco,
Ond'ei si desti e s'armi la sua mano!

ARRIGO (pensando):
Può sorgere un tal giorno...

ELENA:
Le fidanzate coppie;
Che a piè dell'ara con solenne rito
La cittade congiunge,
Pretesto fian!...

ARRIGO:
Popolo folto accorre...

PROCIDA:
E fa lievi i perigli!
E forte in massa: il popolare ardore,
Pur da scarsa scintilla acceso, in breve
Divampa! All'opra! alto è il disegno ed alto
Io chiedo un cor che il mio desir coroni,
Ed un braccio!

ARRIGO:
Ma quale?

PROCIDA:
Il tuo!

ARRIGO:
Disponi!

(Procida parte a diritta)

 

ATTO SECONDO
SCENA III

Arrigo ed Elena.

ELENA (ad Arrigo dopo un istante di silenzio):
Quale, o prode al tuo coraggio,
Potrò rendere mercé?

ARRIGO:
Il mio premio è nell'omaggio
Che depongo al vostro piè!

ELENA:
Del tiranno minaccioso
L'ira in te nulla poté?

ARRIGO:
Con lui tutto... io sì... tutt'oso,
E sol tremo innanzi a te!
Da le tue luci angeliche
Scenda di speme un raggio,
E ribollir quest'anima
Può di novel coraggio.
O donna, t'amo! Ah sappilo,
Né voglio altra mercé,
Che il diritto di combattere
E di morir per te.

ELENA:
Presso alla tomba ch'apresi,
In preda al mio tormento,
Non so frenare il palpito,
Che nel mio petto io sento!
Tu dall'eccelse sfere,
Che vedi il mio dolor,
Fratello, deh! perdonami
S'apro agli affetti il cor!

ARRIGO:
Io ben intesi! tu non mi disprezzi!
L'ardito voto del mio cor perdoni?
Tu d'un soldato umile
Non isdegni la fede
E l'oscura miseria?

ELENA:
Il mio fratel deh! vendica,
E tu sarai per me
Più nobile d'un re!

ARRIGO:
Su questa terra misero,
Solo e deserto sto!

ELENA:
Il mio fratello vendica,
Arrigo, e tua sarò!

ARRIGO:
Sì, lo vendicherò!

ELENA:
Lo giuri?

ARRIGO:
Il giuro!
O donna, io tel prometto:
Lo giuro sull'onor!

ELENA:
Il giuramento accetto:
Riposo sul tuo cor!

 

ATTO SECONDO
SCENA IV

Elena, Arrigo, Bethune con seguito di parecchi Soldati.

BETHUNE: (ad Arrigo presentandogli una lettera)
Cavalier, questo foglio
Il viceré v'invia!

ARRIGO: (Leggendo con istupore)
Un invito alla danza!

BETHUNE:
Egli vi rende affè!

ARRIGO:
Ch'io non accetto.

BETHUNE:
Sì gran favor, signore,
Delitto è ricusar.

ARRIGO:
Pur lo ricuso.

BETHUNE: (Con alterigia)
Ed in suo nome allora io vel comando.
Via! ci seguite, e tosto!

ARRIGO: (Sguainando la spada)
Ah! no: l'oltraggio
Non soffrirò.

BETHUNE: (Facendo un gesto ai Soldati che assalgono Arrigo e lo disarmano)
Soldati!...

ELENA: (A Bethune)
Che feste, o ciel!

BETHUNE: (Le mostra Arrigo che i Soldati trascinan via quindi s'allontana)
Compìto ho il mio messaggio

 

ATTO SECONDO
SCENA V

Elena, poi Procida.

ELENA:
Accoppiare il dileggio
A tanto insulto è infame!
Arrigo...

PROCIDA: (Entrando in fretta ed accorgendosi del suo turbamento)
Sì turbata?

ELENA:
Lo trascinan!... All'empia reggia

PROCIDA: (con dolore)
Ahimè! novello inciampo
Al pronto oprar! In lui,
Nel valente suo cor fidammo: or certo
Egli è perduto!

ELENA: (Con risolutezza)
Ah! no: libero ei fia.
L'onore il vuol!

PROCIDA:
Silenzio!
Tutto il popolo già muove e qui s'avvia.

 

ATTO SECONDO
SCENA VI

Elena, Procida, Giovani d'ambo i sessi discendono dalle colline in abiti festivi al seguito delle dodici fidanzate. Ninetta è fra queste. D'altra parte s'avanza Danieli alla testa degli sposi Manfredo ed alcuni amici di Procida a lui s'avvicinano. Ninetta e Danieli piegano il ginocchio davanti a Elena, chiedendole la benedizione. Qui hanno principio le danze, che vengono interrotte da Roberto e da Tebaldo che arrivano attraversando la scena alla testa di numerosi soldati francesi. Roberto accenna ai danzatori di continuare ed ordina ai soldati di rompere le fila e di riposarsi. Questi prendono parte alle danze, che si fanno più vive e più animate. Roberto, situato alla sinistra dello spettatore, vicino a Procida, contempla questo spettacolo con una curiosa emozione,.il dialogo seguente ha luogo durante la tarantella.

ROBERTO:
Le vaghe Spose affè! son pur gentili!

PROCIDA: (A Roberto guardando le danzatrici)
Ed a voi care!

ROBERTO:
Assai!

PROCIDA: (Sorridendo)
Lessi nel pensier vostro!

ROBERTO:
E chi sei tu?

PROCIDA:
Vostro amico sincero.

TEBALDO:
Cittadin! ben t'apponi!

ROBERTO: (Riguardando le Spose)
Mira - son pur graziose!

TEBALDO:
Quali beltà divine!...

ROBERTO:
Festose a nozze van!

PROCIDA: (Alzando le spalle)
Che importa?

TEBALDO:
E i loro sposi?

PROCIDA: (A mezza voce e con intenzione marcata)
Eh! baie!... vincitori...

ROBERTO:
Ebben?

PROCIDA: (A mezza voce)
Tutto è concesso!

TEBALDO:
Rammenti tu quel quadro...

ROBERTO:
Un quadro! Ah il ratto
Delle donne Sabine!...

PROCIDA:
Eran Romani!

ROBERTO: (in tono allegro)
Non cede al mondo intero
In battaglia e in amor Franco guerriero!

(La danza va sempre più animandosi. Roberto e Tebaldo vanno a riunirsi ai loro compagni. Questi raddoppiano le loro galanti premure presso le giovani Siciliane. Ad un tratto e ad un segnale di Roberto ciascuno di essi rapisce la propria ballerina. Soldati che non ballavano, trascinano seco le altre giovani donzelle. Roberto si è impadronito di Ninetta, Danieli ed i giovani si muovono per riprendere le loro donne: ma i Soldati mettono mano alle spade. Danieli ed i suoi compagni retrocedono spaventati e tremanti. Manfredo porta la propria mano all'elsa della spada, ma Procida lo arresta e gli fa segno di vegliare con lui alla difesa di Elena, che è collocata fra loro all'estrema diritta del teatro)

ROBERTO, TEBALDO, SOLDATI:
Evviva la guerra,
Evviva l'amor!
Per noi dalla terra
Bandito è il dolor.
(Alle donne:)
Or già tu sei mia:
E vano il rigor;
Sarebbe follia
Sottrarti al mio cor!

SICILIANI (d'ambo i sessi):
Su inermi tu stendi,
Su donne l'imper!
L'azione che imprendi
Infama un guerrier!
È fero, spietato
Chi irride al dolor;
È un vile esecrato
Chi insulta all'onor!

ROBERTO (a Ninetta che tenta sfuggirgli):
Calmati, gentil bruna!

NINETTA:
Ah! mi lascia!

ROBERTO:
Il timor discaccia ormai:
Il tuo guerrier presto adorar saprai!

(A dritta parecchi soldati si sono avvicinati ad Elena. Procida e Manfredo hanno messo mano alla spada per difenderla: la zuffa sta per accendersi)

ROBERTO: (Ai soldati loro additando Elena e Procida)
Si rispetti costei!
A lui si serbi, amici,
Che consigli ci dié tanto felici.

(I Soldati si ritirano, ed il Coro riprende con maggior forza)

ROBERTO, TEBALDO, SOLDATI:
Evviva la guerra
Evviva l'amor!
Per noi dalla terra
Bandito è il dolor.
(Alle donne:)
Or già tu sei mia;
È vano il rigor;
Sarebbe follia
Sottrarti al mio cor!

SICILIANI:
Su inermi tu stendi,
Su donne l'imper!
L'azione che imprendi
Infama un guerrier!
È fero, spietato
Chi irride al dolor;
È un vile esecrato
Chi insulta all'onor!

(I Soldati si ritirano conducendo seco loro le donne)

 

ATTO SECONDO
SCENA VII

Procida, Elena, Manfredo, Danieli, Siciliani e fidanzati. Al tumulto succede il silenzio e l'avvilimento. Danieli e tutti i Siciliani collocati in cerchio nel mezzo del teatro cantano a voce bassa il Coro seguente, nel mentre che Procida, Elena e Manfredo osservano in silenzio e accompagnano i sentimenti che successivamente agitano i Siciliani.

DANIELI E CORO:
Il rossor - mi copri - il terror - ho nel sen -
Zitto ancor! - l'onta ria - divorar -mi convien -
Pur mi par - sentir già - ribollir - nel mio cor -
D'un lion - che piagò - ferreo stral - il furor. -

ELENA (ai fidanzati mostrando Procida):
Per lui non ebbi oltraggio!

PROCIDA:
Rispetto in lor parlò!

DANIELI, CORO:
È ver!

ELENA (c. s.):
Onore al suo coraggio!

PROCIDA:
I vili ognun sprezzò!

DANIELI, CORO:
È ver!

ELENA (a Danieli):
Tu alma timorosa...

PROCIDA:
E colma di terror...

ELENA:
Lasci rapir la sposa...

PROCIDA: (Guardando Danieli e gli altri con disprezzo)
Né uccidi il rapitor!
Frenar si ponno... e timidi
Serbar l'oltraggio in cor?...

ELENA:
Mentre col ratto insultano
Lor donne i vincitor?

DANIELI, SICILIANI (crescendo fino all'ultimo grado di furore):
Troppo già - favellò il dolor nel mio sen.
Ben è ver! - l'onta ria - vendicar - or convien!
Taccia ormai - la viltà! - Sento già nel mio cor -
D'un lion - più fatal - ribollir - il furor. -

PROCIDA, ELENA, MANFREDO:
Troppo già - favellò - il dolor - nel lor sen -
L'onta ria - che patîr - vendicar - or convien!
Taccia ormai la viltà - Già poté -nel lor cor -
D'un lion - più fatal - ribollir - il furor!

ATTO SECONDO
SCENA VIII

In mezzo alle grida tumultuose che s'innalzano, una musica graziosa ed allegra si fa sentire. I Siciliani corrono sulla sponda del mare e veggono avanzarsi una barca splendidamente adorna che costeggia la riva. Vaudemont, Ufficiali francesi, nobili Dame francesi e siciliane elegantemente abbigliate, siedono in essa. I battellieri indossano ricche livree. Dame adagiate su molli cuscini, alcune tengono alle mani chitarre, altre piglian rinfreschi, ecc.

CORO:
Del piacer s'avanza l'ora!
Colle Grazie del tuo cielo,
Dio d'amor, deh! scendi ancora
A far lieti i nostri dì!
Gaia in viso e senza velo,
Qua' la vaga Citerea,
Vieni a me, verace dea,
Fresco è il vento e imbruna il dì!

PROCIDA:
Portati in sen di così ricca prora,
Ove si recan?

ELENA:
Alla reggia, a festa!

PROCIDA:
Ci adduca la vendetta
Sull'orme loro!

ELENA:
E come?

PROCIDA:
Sotto larva fedele
Ignoto io mi terrò: qual folgor ratto
Piomberò sul tiranno,
Tra le festose genti,
Che voto al mio furore!

DANIELI: (A mezza voce e tremante)
E spade avran!

PROCIDA: (A mezza voce)
E noi pugnali e core!

CORO (allegro e brillante sulla barca):
Del piacer s'avanza l'ora!
Colle Grazie dal tuo cielo,
Dio d'amor, deh! scendi ancora
A far lieti i nostri dì!
Gaia in viso e senza velo,
Qual la vaga Citerea,
Vieni a me, verace Dea,
Fresco è il vento e imbruna il dì!

DANIELI, SICILIANI (a voce bassa):
Troppo ormai - favellò - il dolor -nel mio sen! -
Su corriam! - l'onta ria - vendicar -ci convien -
Agli acciar - va la man; - sento già -nel mio cor -.
D'un lion - più fatal - ribollir - il furor. -

PROCiDA, ELENA, MANFREDO:
Troppo ormai - favellò - il dolor - nel lor sen! -
L'onta ria - che patir - vendicar - or convien -
Agli acciar - corron già; - poté omai - nel lor cor -
D'un lion - più fatal - ribollir - il furor. -

(La barca continua la sua marcia, mentre Procida, Elena, Manfredo, Danieli e i Siciliani stanno in gruppi a sinistra del teatro. Cala la tela)

ATTO TERZO
SCENA I

Gabinetto nel palazzo di Monforte.

Monforte

MONFORTE (seduto ad un tavolo):
Sì, m'abborriva ed a ragion! cotanto
Vêr lei fui reo, che giunsi un dì a rapirla!
E me odiava e fuggiva! e per tre lustri
All'amplesso paterno il figlio ascose...
E lo nudriva nell'orror del padre!
E me crudel poi chiami!
Foglio, che presso a morte
Vergò la fatal donna
(toglie dal seno un foglio)
Quanti affetti diversi in me richiami!
(Legge:)
“O tu, cui nulla è sacro! se la scure
Sanguinosa minaccia
Il prode Arrigo, onor del patrio suolo,
Risparmia almen quell'innocente capo!”.
Mio figlio!

 

ATTO TERZO
SCENA II

Bethune, e detto.

BETHUNE:
Il cavaliero
Ricusava protervo qui venirne,
E qui fu tratto a forza!

MONFORTE:
Sta ben!

BETHUNE:
Qual pena inflitta
A lui sarà?

MONFORTE:
Non cale;
Ei si rispetti e in alto onor si tenga.
Or va, Bethune, e al mio cospetto ei venga!

(Bethune parte)

ATTO TERZO
SCENA III

Monforte

MONFORTE (solo):
In braccio alle dovizie,
In seno degli onor;
Un vuoto immenso, orribile
Regnava nel mio cor.
Ma un avvenir beato
Or s'apre innanzi a me,
Se viver mi fia dato,
Figlio, vicino a te!
L'odio invano a me lo toglie,
Vincerà quel fero cor,
Nel fulgor di queste soglie
Col paterno, immenso amot
In braccio alle dovizie,
In seno degli onor,
Un vuoto immenso, orribile
Regnava nel mio cor.
Ma un avvenir beato
Or s'apre innanzi a me,
Se viver mi fia dato,
Figlio,vicino a te!

 

ATTO TERZO
SCENA IV

Monforte, ed Arrigo preceduto da due Paggi che si inchinano e si ritirano.

ARRIGO:
Sogno, o son desto? umil
E sollecito accorre
Ognuno ai miei desiri, e d'un mio cenno
Lieto si mostra!
Novel giuoco è questo
(indirizzandosi a Monforte)
Inver di strana sorte,
Se da te non m'aspetto altro che morte!

MONFORTE:
La speri invan! senza timore ormai
Libero in queste soglie
Tu puoi chiamarmi ingiusto,
E vane insidie contro me tramare!

ARRIGO:
Difender la sua terra
E nobil scopo. Io combatto un tiranno.

MONFORTE:
Ma da vil lo combatti.
Colla spada io ferisco, e tu il pugnale
Nell'ombra vibri! né oseresti, audace,
Fìssarmi in volto!
(Guardandolo fissamente)
Or mira! a te dinanzi
Senza difesa io sto!

ARRIGO:
Per mia sventura!

MONFORTE:
O stolto, cui salvò la mia clemenza
A sì dura mercé m'hai tu serbato?
Ti credi generoso e hai core ingrato!
Quando al mio seno per te parlava
Pietà sincera d'un cieco error,
Quando un ribelle - in te salvava,
Arrigo... nulla ti disse il cor?

ARRIGO:
(Alla sua voce rabbrividisco,
Invan bandisco - il mio terror!)

MONFORTE:
E al duol intenso che m'ange intanto,
La giovin alma non palpitò?
E pur tu il vedi!... stilla di pianto
Sul mesto ciglio per te spuntò!

ARRIGO:
(A qual tormento nuovo, spietato,
il crudo fato - mi condannò!)

MONFORTE:
Ebben, Arrigo! se il mio tormento
L'ingrato core non ti colpì,
Or di tua madre leggi 1'accento.

ARRIGO:
Che? di mia madre?...

MONFORTE:
Sì,
Mentre contemplo quel volto amato,
Ingrato, sì!...
Benché velato - d'atro dolor;
L'alma è commossa - io son beato,
Tutto ho ripieno - di gaudio il cor!

ARRIGO:
Gioia! e fia vero? sogno o son desto?
(Leggendo il foglio.)
Cifre materne!... qui sul mio cor!
O ciel! che scopro?... arcan funesto
(gettando un grido)
Mi si rivela... fremo d'orror!

MONFORTE (appressandosi ad Arrigo che rimane immobile e come annichilito):
Ma fuggi il mio sguardo,
O figlio?

ARRIGO:
Inorridisco!

MONFORTE:
Non sai tu dunque qual mi son!

ARRIGO:
(O donna!
Io t'ho perduta!)

MONFORTE:
Il mio potere, Arrigo,
Sconosciuto t'è dunque?
Monforte io son!

ARRIGO:
(O donna,
Io t'ho perduta!)

MONFORTE:
So! che tu accenni, a te concesso fia
Dal mio poter quanto domandi e
Titoli, onor, dovizie,speri.
Quanto ambizion desia,
Io tutto a te darò!

ARRIGO:
Al mio destin mi lascia,
E pago allor sarò!

MONFORTE:
Ma non sai tu che splendida
Fama suonò di me?
È il nome mio glorioso...

ARRIGO:
Nome esecrato egli è!

MONFORTE:
Parola fatale!
Insulto mortale!
La gioia è svanita
Che l'alma sperò!
Giustizia suprema!
Tremendo anatema
Che un barbaro figlio
Sul padre scagliò!

ARRIGO:
Ah rendimi, o fato,
L'oscuro mio stato!
La speme è svanita
Che l'alma sognò!
Giustizia suprema!
Tremendo anatema
Che un figlio percuote,
Che al padre imprecò!

MONFORTE: (cercando trattenerlo)
T'arresta, Arrigo! plachisi
Quell'ostinato core!

ARRIGO:
Lasciami, o crudo, lasciami
In preda al mio dolore!

MONFORTE:
Invano, o figlio, crudel mi chiami,
Del padre vincati la prece e il duol!

ARRIGO:
Fuggir mi lascia, se è ver che m'ami,
Ad altro lido, ad altro suol!
Ah! volare al tuo sen io pur vorrei,
Ma non poss'io!

MONFORTE:
Chi te lo vieta, ingrato?

ARRIGO:
Lo spettro di mia madre,
Che tra di noi si pone.

MONFORTE: (Con sommo dolore)
O figlio mio!

ARRIGO:
Suo carnefice fosti: e l'alma è rea
Se vacillar fra voi tanto potea!
Ombra diletta, che in ciel ripòsi
La forza rendimi che il cor perdé,
Su me i tuoi sguardi veglin pietosi,
E prega, o madre, prega per me!

MONFORTE:
L'ardente prego del genitore
È nulla, Arrigo, nulla per te?
Apri il tuo seno, ch'io t'apro il core.
T'arrendi alfine, o figlio, a me!

(Arrigo si toglie con impeto dalle braccia di Monforte che tenta ritenerlo, e fugge a sinistra. Monforte lo segue collo sguardo e con atto di dolore si allontana. La scena cambia e rappresenta una magnifica sala disposta per una festa da ballo)

ATTO TERZO
SCENA V

Gentiluomini e Dame francesi e siciliane, con maschere e senza, che vanno e vengono. Entra Monforte, preceduto dai suoi Paggi e dagli Ufficiali del palazzo. Egli si colloca sopra un seggio elevato, e fa segno a ciascuno di sedersi. Il maestro di cerimonie viene a prendere i suoi ordini e dà il segnale per cominciare la festa.

BALLO

Si rappresenta davanti alla Corte di Palermo il ballo delle Quattro Stagioni. Un canestro sorge da terra; è formato d'arbusti verdi di piante che non crescono che d'inverno; le loro foglie sono coperte di ghiaccio e di neve. Dal seno dei canestro esce una giovinetta che rappresenta l'inverno, e che, respingendo col piede il braciere che le sue compagne avevano acceso, danza per riscaldarsi. I ghiacci si sciolgono tosto al tiepido soffio dei zeffiri che fendono l'aria. L'Inverno è scomparso. La Primavera sorge da un canestro di fiori, cedendo poco dopo il luogo all 'Estate, giovinetta che esce da un canestro circondato da manipoli di spighe dorate. Il caldo la opprime, e domanda alle Najadi la freschezza delle loro sorgenti. Le Bagnanti sono messe in fuga da un Fauno che salta fuori, precedendo l'Autunno. I suoni del sistro e dei timballi annunziano i Satiri e le Baccanti, le cui danze animate terminano il Ballo.

CORO:
O splendide feste!
O notti feconde
Di danze gioconde,
Di rare beltà!
Son raggio celeste
Quei vivi splendori
Che infondon nei cori
Amor, voluttà!

(La folla si disperde negli appartamenti del palazzo e nei giardini: la scena resta vuota per un istante)

 

ATTO TERZO
SCENA VI

Arrigo viene da diritta, èseguito da Elena e da Procida, ambedue mascherati.

PROCIDA (a bassa voce ad Arrigo):
“Su te veglia l'amistade!”

ARRIGO:
(Cielo! il còr non m'ingannò?)

ELENA:
"Su te veglia l'amistade!”.

ARRIGO:
Ah! qual voce al sen vibrò!
(Procida ed Elena si tolgono la maschera)
Tu qui, donna! oh! qual sorpresa!
Per voi gelo.di Spavento!
Qui perché vi siete resa?

ELENA:
Per salvarti!

PROCIDA:
Ed ogni oppresso
Vendicar.

ARRIGO: (Con incertezza)
Parla sommesso!
Per me nulla ormai pavento,
Sono libero... ma voi...
L'ira sua temer dovete
E fuggir gli sdegni suoi.

PROCIDA:
Sii tranquillo... il traditor...

ARRIGO:
Zitto! ci odono! (oh terror!)
(Mostrando loro alcuni Francesi che entrano nella sala)

A3: (Allegramente e sul motivo della danza che echeggia nell'interno)
O splendide feste!
O notti feconde
Di danze gioconde,
Di rare beltà!
Son raggio celeste
Quei vivi splendori
Che infondon nei cori
Amor; voluttà!

(Le Dame ed i Cavalieri entrano dal fondo. Arrigo, Procida ed Elena restano ancor soli per un istante sul davanti della scena, ma si ode sempre dai vicini appartamenti il suono della danza)

ELENA: (ad Arrigo ed a mezza voce):
In fra gli allegri vortici
Delle intrecciate danze...

PROCIDA (c. s):
Sotto le larve ascondono
I fidi le sembianze...

ELENA (attaccando un nastro sul petto d'Arrigo):
A tal di nastri serici
Nodo, ciascun fia noto!

PROCIDA:
Quei forti bracci intrepidi
Non colpiranno a vuoto!

ELENA:
E in brevi istanti vindici
Qui brilleranno i ferri...

PROCIDA:
Tra' suoi feroci sgherri
Monforte perirà!

ARRIGO (spaventato):
Gran Dio! (Chi'il salverà?)

PROCIDA (sorpreso):
Impallidisci?

ARRIGO (c. s):
Intenderti
Alcun potrebbe.

ELENA:
E chi?

PROCIDA (vedendo entrare Monforte e rimettendosi la maschera):
Ei stesso!

ARRIGO: (A parte e tremante)
(O giorno infausto!)

PROCIDA (ad Arrigo):
Tra pochi istanti qui!

(Comparisce Monforte in mezzo a dame francesi e siciliane)

TUTTI:
O splendide feste!
O notti feconde
Di danze gioconde,
Dì rare beltà!
Son raggio celeste
Quei vivi splendori,
Che infondon nei cori
Amor, voluttà!

(Elena e Procida s'allontanano perdendosi nella folla; mentre le coppie danzanti passeggiano nelle sale ed i rinfreschi sono d'intorno serviti. Monforte s'avvicina ad Arrigo, che si trova solo sul davanti della scena)

ATTO TERZO
SCENA VII

Monforte, Arrigo, poi tutti

MONFORTE (ad Arrigo):
di tal piacer per te novelli, pago
Sei tu?

ARRIGO (a mezza voce):
Per te fatale aura qui spira,
Va!

MONFORTE:
Che temer degg'io
Nelle mie stanze?

ARRIGO:
Io dir nol posso!...
eppure!...
Ancor ti prego! vanne!
Pavento pe' tuoi giorni!

MONFORTE: (Con gioia)
E a mia salvezza or vegli e per me tremi?
Ah s'apre alfin quell'anirna
Al mio paterno affetto!
Gli errori tuoi dimentico,
Vien che ti stringa al petto!

ARRIGO:
T'arretra!

MONFORTE (freddamente):
Io resto allor!

ARRIGO (con calore):
Incauto! e tu cadrai
Segno a vendetta lor!

MONFORTE:
Non l'oseran giammai!

ARRIGO (portando la mano al.petto):
Su questo segno... miralo!...
Io pur giurava...

MONFORTE:
Invano!
Segno del disonor!
(Gli strappa il nastro)
Io te lo strappo, insano!
(Gesto di sdegno d'Arrigo)
Fremi? - dei tradimenti
Tutto l'orror tu senti;
Il veggo! il franco sangue
Nel sen ti ferve ancor!

ARRIGO: (con calore)
No, no, non è colpevole
Chi serve al patrio onor!
Ma tu, deh! m'odi; involati;
Ai voti miei deh! cedi;
Vanne!

MONFORTE:
Sperarlo è inutile!

ARRIGO (scorgendo parecchi gruppi di Siciliani che vanno avvicinandosi):
Già a te s'appressan... vedi!
Già ti circondan... eccoli!
Brillan gli acciar su te!

PROCIDA (ed i suoi circondano Monforte ed a voce bassa):
Feriamo, questo l'ultimo
Dì pei Francesi egli è.
A noi, a noi, Sicilia!...

ARRIGO:
Fermate!

MONFORTE:
Francia, a me!

(Elena, che ha preceduto Procida, si è nel tumulto lanciata la prima per ferir Monforte. Arrigo si getta innanzi a lui, facendogli scudo nel suo petto. A tal vista Elena s'arresta e con spavento lascia cadere il pugnale. I Francesi sono accorsi alla voce del proprio capo traendo le spade e facendogli corona).

MONFORTE: (A Bethune e Vaudemont)
Tra ceppi, olà, si adduca ognun che fregio
Orna simil. (Mostrando il nastro di Procida)
La morte a lor! Costui
(additando Arrigo)
Sia salvo! io pregio in lui
Lealtà di nemico!

PROCIDA (a parte):
(Oh tradimento!)

MONFORTE:
Ei protesse i miei dì! svelò le trame
che varranno ai felloni il ceppo infame!

PROCIDA, ELENA, DANIELI E SICILIANI:(mostrando Arrigo):
Colpo orrendo, inaspettato!
Ei sì perfido, sì ingrato!
Gli sia pena il suo rossor!
Onta al vile, al traditor!
(Con entusiasmo e sommo sdegno)
O patria adorata,
Mio primo sospiro,
Ti lascio prostrata
Nel sangue, nel duol!
Il santo tuo spiro
Più bello s'accenda,
E fosca a lui renda
(mostrando Arrigo)
La luce del sol!
A voi l'infamia,
La gloria a me.

ARRIGO:
Nel mio petto esterrefatto
Cessò il battito del cor!
L'onta rea di tal misfatto
Fa palese il mio rossor!
Per colpa del fato
In preda al delirjo,
Di sangue bagnato
Ho il patrio mio suol!
O speme! il tuo spiro
Nel seno è già spento;
Non veggo, non sento
Che lutto, che duol!
A lor la gloria,
L'infamia a me.

FRANCESI:
Dio possente, a te la lode
Salga umil dai nostri cor!
Ché salvasti il sen del prode
Dal pugnai de' traditor!

MONFORTE, FRANCESI (ad Arrigo):
Rivolgi ora grato
A Francia il sospiro!
Dell'Eden beato
E specchio il suo suol!
Più nobil desiro
Il petto t'accenda,
E viva a te splenda
La luce del sol!
A voi l'infamia,
La gloria a me!

ARRIGO (avvicinandosi ad Elena, a Procida ed agli altri Siciliani):
Donna!... pietade, amici!
Vi muova il mio dolor!

PROCIDÀ, SICILIANI (respingendolo):
No, no; mente l'iniquo - Indietro il traditor!

MONFORTE:
Io ti saprò difendere...
Lieto con me vivrai!

ARRIGO (con accento disperato):
No! lasciami!... giammai!

PROCIDA (con sprezzo):
Or, che quell'empio - è scudo a te,
Di doppia infamia - segno sarai.
(Verso i compagni)
A noi la gloria -la morte a te!

PROCIDA, ELENA, DANIELI, SICILIANI:
O patria adorata,
Mio primo sospiro,
Ti lascio prostrata
Nel sangue, nel duol!
Il santo tuo spiro
Più bello s'accenda,
E fosca a lui splenda
La luce del sol!
A voi l'infamia,
La gloria a me!

ARRIGO:
Per colpa del fato
In preda al delirio,
Di sangue bagnato
Ho il patrio mio suol.
O speme! il tuo spiro
Nel seno è già spento;
Non veggo, non sento
Che lutto, che duol!
A lor la gloria,
L'infamia a me!

MONFORTE, FRANCESI:
Rivolgi ora grato
A Francia il Sospiro!
Dell'Eden beato
È specchio il suo suol!
Più nobil desiro
Il petto t'accenda,
E viva a te spienda
La luce del sol!
A voi l'infamia,
La gloria a me!

(A un gesto di Monforte, vengon trascinati via Procida, Elena ed i Siciliani. Arrigo vuol correre dietro loro, Monforte il trattiene. Procida ed Elena lo respingono con disprezzo nel mentre ch'egli loro tende le mani in atto di supplicare. Oppresso, annichilito, Arrigo vacilla e cade nelle braccia di Monforte)

Cala il sipario.

ATTO QUARTO
SCENA I

Cortile d'una Fortezza.
A sinistra una stanza che conduce all'alloggio dei prigionieri. A diritta, cancello che comunica con l'interno della fortezza. Nel fondo, cresta merlata d'una parte delle mura, e porta d'ingresso custodita da Soldati. Arrigo presentandosi alla porta d'ingresso.

ARRIGO: (I soldati lo lasciano entrare)
È di Monforte il cenno.
Per suo voler supremo
M'è concesso di vederli... a me li adduci!

(Un Ufficiale, al quale Arrigo avrà mostrato un ordine, si allontana dalla porta a sinistra dello spettatore)

Voi per me qui gemete
(guardando dal lato delle prigioni)
In orrida prigion, diletti amici!
Ed io, cagion dei mali vostri, in ceppi
Fra voi non sono! e vittima del fato,
Mal sottrarmi poteva al don fatale
Che m'avvilisce! O clemenza ingiuriosa!
Vergognoso favore!
Più della vita è caro a me l'onore!
D'un indegno sospetto
Io vengo a discolparmi. .. ma vorranno
Essi vedermi?... udir le mie difese?...
Empio mi crede ognuno;
Son spregiato da lei,
E in odio a tutti... io, vile per lor morrei!
Giorno di pianto, di fier dolore!
Mentre l'amore
Sorrise a me,
Il ciel dirada quel sogno aurato,
Il cor piagato
Tutto perdé!
De' loro sdegni crùdo il pensiero
fa in me più fiero
L'atro dolor!
Il tuo disprezzo, Elena mia,
È cruda, è ria
Pena al mio cor!
(Ascoltando)
Chi vien?... io tremo, appena ahimè! respiro!
È dessa!... a maledirmi ella si appresta!
A maledirmi!... oh! sì, d'orrore io fremo!
Non mi lasciare alla mia cruda sorte!
Grazia, grazia... perdono!
Men del tuo sprezzo a me fatale è morte!

 

ATTO QUARTO
SCENA II

Elena, uscendo dalla prigione a sinistra, condotta dall'Ufficiale, che le mostra Arrigo e si ritira.

ELENA (avanzan dosi e riconoscendo Arrigo getta un grido):
O sdegni miei tacete - fremer mi sento il core...
Forse a novel tormento mi serba il traditore!

ARRIGO (supplichevole):
Volgi il guardo a me sereno
Per pietà del mio pregar;
Mi perdona, o lascia almeno
Che al tuo piè poss'io spirar!

ELENA (fieramente):
Del fallir mercede avrai
Nei rimorsi del tuo cor!
Il perdono... a te?... giammai!
Non lo speri un traditor!

ARRIGO:
Non son reo! tremendo fato
D'onta e lutto mi coprì;
Fui soltanto sventurato,
Ma il mio cor giammai tradì!

ELENA:
Non sei reo, ma accusi il fato,
Che d'obbrobrio ti coprì;
Preghi il cielo, sciagurato,
Che fai tristi i nostri dì!...
Non fu tua mano, o indegno
(con sdegno)
Che disarmò il braccio
Allor che il ferro in core
Vibrava del tiranno?

ARRIGO (con accenno di disperazione):
Il padre mio!

ELENA:
Tuo padre!

ARRIGO:
Ahi! nodo orribile,
Fatal legame è questo!
Mortale, orrendo vincolo
Per sempre a me funesto!
Eternamente a perdermi
Mel rivelava il ciel.
Che far dovea, me misero!
In bivio sì crudel?
Tu del fratello ai lemuri
Te stessa offrivi invano;
Io di più feci: al barbaro
Sacrificai l'onor!

ELENA: (commossa)
O rio, funesto arcano
O doppio mio dolor!
Se sincero è quell'accento,
Compatisci al suo dolor,
Tu, che vedi il suo tormento,
Tu, che leggi in fondo al cor!
Ma gli aborriti vincoli?...

ARRIGO:
Già li distrusse amore!
La vita ch'egli diedemi
Ho resa al genitore;
Omai di me son libero;
Riprendo l'odio antico!

ELENA:
Ma il nome, le dovizie?...

ARRIGO:
Le sprezzo. E mio nemico.
Da lui vogl'io sol chiedere
Del mio soffrir mercé,
Il don di poter vivere,
O di morir per te

ELENA: (con crescente emozione)
Arrigo! ah! parli a un core
Già pronto al perdonare;
Il mio più gran dolore
Era doverti odiare!
Un'aura di contento
Or calma il mio martîr
Io t'amo! e quest'accento
Fa lieto il mio morir!
Gli odi ci fûr fatali
Al cor che indarno spera:
Di sangue i tuoi natali
Poser tra noi barriera!
Addio! ne attende il cielo!
Addio! mi serba fé!
Io moro! e il mortal velo
Spoglio, pensando a te.

ARRIGO:
Pensando a me!
È dolce raggio,
Celeste dono
Il tuo perdono
Al mio pentir.
Sfido le folgori
Del rio destino,
Se a te vicino
Potrò morir!

ELENA:
Or dolce all'anima
Voce risuona,
Che il ciel perdona
Al tuo pentir.
Sfido le folgori
Del rio destino,
Se a te vicino
Potrò morir!

 

ATTO QUARTO
SCENA III

Procida, Arrigo, Elena - Procida, scortato dai Soldati, s'avvicina ad Elena, e s'avanza verso di lei, mentre Arrigo si allontana, e mostrando l'ordine di cui è munito, accenna ai Soldati di partire.

PROCIDA (a bassa voce ad Elena, e senza vedere Arrigo):
Amica man, sollievo al martir nostro
Questo foglio recò d'oltre le mura
Della prigion!

ELENA (prende il foglio, lo apre, e lo legge a mezza voce):
“D'Aragona un navile
Solcò vostr'onde, ed è già presso al porto
Gravido d'oro e d'armi!...”

PROCIDA: (Con accento disperato)
Ed io gemo tra ferri!
Ah! del mio sangue a prezzo
Potessi escirne!... un giorno...un'ora!...
Che il mio voto si compia e poi si mora!
(Volgendosi e riconoscendo Arrigo)
Ma chi vegg'io? - costui
Perché miro al tuo fianco?

ELENA:
Il pentimento
Quivi lo addusse!

PROCIDA:
Un nuovo tradimento!
Il suo complice vedi!

(Mostrandole Monforte, che entra seguito da Bethune e da altri Uffiziali)

 

ATTO QUARTO
SCENA IV

Gli stessi, Monforte, Bethune ed altri Ufficiali.

BETHUNE (interrogando Monforte, e mostrandogli Elena e Procida):
I tuoi cenni, o signor!

MONFORTE:
Un sacerdote
E il lor supplizio!

BETRUNE:
Il popol minaccioso
Freme!...

MONFORTE:
Le schiere in armi
Nei destinati lochi
Ai cenni miei sien pronte; il primo grido
De' ribelli segnal di strage sia!
Intendesti?

BETHUNE:
T'intesi!

(S'inchina e parte)

 

ATTO QUARTO
SCENA V

Detti, meno Bethune.

ARRIGO: (Vivamente a Monforte)
Perché tai cenni?

MONFORTE:
Brevi istanti ancora,
E giunta l'ultim'ora
Per lor sarà.

ARRIGO:
Di morte!

PROCIDA (con dolore):
(O patria mia! la morte!!
Or che dal viver mio pende tua sorte!)

ARRIGO (a Monforte):
Perdono! io ten scongiuro.
Grazia per loro, o me con essi uccidi!

ELENA (a Procida con gioia):
L'intendi tu?

PROCIDA:
Colui che ci tradìa
Merta perir!... ma non pei lari suoi;
Vanne, di tanto onore
Io ti proclamo indegno!

ARRIGO: (Con un grido di sdegno)
Ah!...

MONFORTE:
Da lor tanto oltraggio a te spettava,
Arrigo!... a te mio sangue!...

PROCIDA:(Stupefatto)
Che?

ELENA: (A mezza voce)
Suo figlio!...

MONFORTE:
A te, che scegli ingrato
Piuttosto morte che con me la gloria!

PROCIDA:
Lui!... suo figlio!... Or compiuto è il nostro fato!
Addio, mia patria, invendicato
Ad altra sfera m'innalzo a voi!
Io per te moro, ma disperato
D'abbandonarti fra tanto duol!

MONFORTE:
Sì, col lor capo sarà troncato
A quell'ardire furente il vol;
E dai ribelli - sarà purgato.
Gentil Sicilia - il tuo bel suol.

ARRIGO:
Nella tua tomba - sventurata,
Per me cangiossi - il patrio suol!
Ma non morrai, donna adorata,
0 teco, il giuro, - morrò di duol!

ELENA:
Addio, mia patria amata,
Addio, fiorente suol!
Io sciolgo sconsolata
Ad altra sfera il vol!

CORO (interno):
Deprofundis ad te
Clamavi, Domine!

PROCIDA (ad Elena):
A terra, a terra, o figlia,
Prostriamci innanzi a Dio!.
Già veggo il ciel sorridere...

ELENA:
M'attende il fratel mio!

ARRIGO (a Monforte mostrandogli Elena e Procida inginocchiati):
Pietà, pietà di loro,
Sospendi il cenno, o qui con essi io moro!

MONFORTE: (con isdegno)
Tu reo, tu pur colpevole
Audace assunto imprendi!
E con qual diritto ai complici
Intercessor ti rendi?
Ma, benché ingrato, al figlio
(con tenerezza)
Tutto concedo e dono:
Padre mi chiama, Arrigo,
E ad essi e a te perdono!

ARRIGO:
O ciel!

MONFORTE:
Indarno un popolo
(mostrando la folla che è entrata nella fortezza)
Or mi cadrebbe al piè!
Ah! dimmi alfin “mio padre!”
E grazia avran da me!

ELENA (ad Arrigo):
Ah! non lo dir e lasciami morire!

ARRIGO: (con accento di disperazione):
Ah! donna!...

ELENA:
Il tuo pentire
Deh! sia costante almen!

MONFORTE: (Con forza)
Chiamami padre,
E grazia avrai da me!

ELENA:
Ah non lo dir! disprezza il suo perdono!

ARRIGO:
Che far! chi mi consiglia?

(Il cancello a dritta s'apre: si vede la gran sala di giustizia, alla quale s'ascende per parecchi gradini, ed in cui si vedono quattro Penitenti in atto di preghiera ed alcuni Soldati con torce in mano. Sul primo gradino sta il Carnefice appoggiato alla sua scure)

(Gettando un grido)
Ma che vegg'io?

MONFORTE: (con freddezza)
La scure
Ha il carnefice in mano
E attende il cenno mio!

ARRIGO:
Cenno crudel, ingiusto, iniquo cenno!

(Due Penitenti discendono i gradini e vengono a prendere, l'uno Procida, l'altro Elena)

PROCIDA:
Noi vi seguiam... (Ai Penitenti)
A morte vieni! (A Elena)

ELENA:
A gloria!

ARRIGO:
O donna!... O mio terror!

CORO DI DONNE:
Ah! grazia, grazia!

CORO INTERNO:
De profundis!...

(Il popolo, che è nel cortile della cittadella e dietro i Soldati, s'inginocchia e prega. Procida ed Elena preceduti dai due Penitenti si dirigono verso la gradinata. Arrigo si slancia verso Elena e vuol seguirla, ma è trattenuto da Monforte che si colloca tra loro)

PROCIDA, ELENA:
O mia Sicilia, addio!

(Il Carnefice s'impadronisce di Elena; appena ella tocca la soglia della sala di giustizia, Arrigo getta un grido)

ARRIGO:
O padre, o padre mio!

MONFORTE:
O gioia! e fia pur vero?
O ministro di morte (al Carnefice)
Arresta! a lor perdono!

(Grido unanime di gioia. Procida ed Elena circondati dai Soldati discendono la gradinata e sono condotti vicino a Monforte)

Né basti a mia clemenza.
Qual d'amistà suggello
Tra popoli rivali
D'Arrigo e di costei io sacro il nodo.

ELENA: (Con voce soffocata)
No!

PROCIDA (Con voce soffocata) :
Lo devi! la patria ed il fratello
Da te il voglion, o donna: io tel consiglio!

MONFORTE: (Volgendosi al popolo)
Pace e perdono!... io ritrovai mio figlio!

ELENA:
O mia sorpresa! o giubilo
Maggior d'ogni contento!
È muto il labbro, e accento
A esprimerlo non ha.
Ornai rapito in estasi
Da tanta gioia il core,
S'apre al più dolce amore,
È pegno d'amistà.

ARRIGO:
O mia sorpresa! o giubilo
Maggior d'ogni contento!
È muto il labbro, e accento
A esprimerlo non ha.
Ornai rapito in estasi
Da tanta gioia il core,
S'apre al più dolce amore
È pegno d'amistà.

MONFORTE, FRANCESI:
Risponda ogni alma al fremito
D'universal contento:
Di pace amai l'accento
Ovunque echeggierà.
Lieti pensieri in estasi
Rapiscono ogni core:
Il serto dell'amore
Coroni l'amistà.

PROCIDA, SICILIANI:
(Di quelle gioie al fremito,
Al general contento,
Fra poco un altro accento
Tremendo echeggerà.
Lo spensierato giubilo
Si cangerà in dolore,
Dai veli dell'amore
Vendetta scoppierà)

ARRIGO (a Monforte):
Deh! calma il nostro gaudio
cotanto in sen represso;
E il sacro imen si celebri Doman!

MONFORTE:
Quest'oggi stesso.
Allor che al raggio fervido
temprato dalla brezza
S'udrà squillare il vespero...

ARRIGO:
O cara, o diva ebbrezza!

PROCIDA:
(Fra poco! o ciel terribile
Tu forza a me darai!)

ARRIGO: (Con tenerezza:)
Crederlo posso, o cara?
Sei mia!

ELENA:
Sono tua!

PROCIDA:
(Giammai!)

ELENA:
O mia sorpresa! o giubilo,
ecc., ecc.

(Si recano dal corpo di guardia dei bicchieri e dei boccali: i Soldati francesi bevono coi Siciliani - Monforte s'incammina tenendo per mano Elena ed Arrigo, Procida rimane circondato dai propri amici)

Cala la tela.

ATTO QUINTO
SCENA I

Ricchi giardini nel Palazzo di Monforte in Palermo.
In fondo gradinate, per le quali si arriva alla cappella, di cui si vede la cupola elevarsi al di sopra degli alberi. A diritta l'ingresso al palazzo.

CORO DI CAVALIERI (tra le quinte):
Si celebri alfine
Tra i canti, tra i fior
L'unione e la fine
Di tanti dolor.
È l'iri di pace,
È pegno d'amor.
Evviva la face
Che accese quel cor!
Evviva la gloria,
Evviva l'amor!

CORO DI GIOVINETTE:
Di fulgida stella
Hai tutto il splendor!
Sei pura, sei bella
Qual candido fior.
Di pace sei l'iri,
Sei pegno d'amor,
L'affetto che inspiri
Seduce ogni cor!
È serto di gloria
Il serto d'amor!

ATTO QUINTO
SCENA II

Le stesse. Elena in veste da sposa scende dalla gradinata del palazzo a diritta. Le giovinette le muovono incontro, offrendole dei fiori, indi Arrigo.

ELENA:
Mercé, dilette amiche,
Di quei leggiadri fior;
Il caro dono è immagine
Del vostro bel candor!
Oh! fortunato il vincolo
Che mi prepara amor;
Se voi recate pronube
Felici augurii al cor!
Sogno beato, caro delirio,
Per voi del fato l'ira cessò!
L'aura soave che qui respiro
Già tutti i sensi m'inebbriò.
O piaggie di Sicilia,
Risplenda un dì sereno;
Assai vendette orribili
Ti lacerano il seno!
Colma di speme e immemore
Di quanto il cor soffrì,
Il giorno del mio giubilo
Sia di tue glorie il dì,
Sogno beato, caro delirio, ecc., ecc.

CORO:
L'affetto che inspiri
Seduce ognicor!
È serto di gloria
Il serto d'amor!

(Elena congeda le donne, che s'allontanano: in questo frattempo Arrigo discende pensieroso dalla gradinata in fondo)

ARRIGO:
La brezza aleggia intorno - a carezzarmi il viso,
E di profumi eletti - imbalsamato è il cor.
Più mollemente l'onda - con dolce mormorio
S'unisce al canto mio - nel riso dell 'amor.
Aranci profumati ruscelli e verdi prati,
Giungeste a indovinar - che amato sono?

ELENA:
Io sarò tua per sempre - per sempre t'amerò!

ARRIGO:
Tu m'ami! caro accento onde rapito è il cor,
Che il fato condannava a stenti del dolor!
Il ciel tu mostri a me, colà ti vo' seguir,
Ed obliar con te l'atroce mio soffrir.
O mio diletto amore! Iddio per me ti fe';
Celeste angiol tu sei, raggio di sol per me!

(Alcuni gentiluomini si presentano alla porta del palazzo a diritta e vengono a cercare Arrigo, che ad un gesto di Elena si decide a seguirli)

Oh deh! per poco lasciami
Volare al padre mio;
Sarò qui tosto reduce!

ELENA:
Ah! presto riedi! - addio!

(Arrigo entra nel palazzo a diritta)

 

ATTO QUINTO
SCENA III

Procida che discende dalla gradinata in fondo, ed Elena.

PROCIDA:
Al tuo cor generoso,
Donna, grata esser dee la nostra terra!

ELENA:
Perché?

PROCIDA: (con gioia e voce sommessaY
Senza difesa
Il nemico abbandona,
Tutto fidente in noi, torri e bastite.
Vestito a pompa e in braccio
A gioia folle, ognuno
Si dà in preda al piacer, lieto e festante.

ELENA: (Con inquietudine)
Qual ci sovrasta fato?

PROCIDA: (Con voce bassa:)
Nulla ti sia celato!
Non appena tu avrai
Mosso l'ardente sì,
E del compito imene
I sacri bronzi dato avran l'annunzio,
All'istante in Palermo e universale
Il massacro incominci.

ELENA:
Dell'ara al piede!... qui... dinanzi al cielo!...
E la giurata fede?

PROCIDA: Più sacra ella ti fia del patrio suolo?
Tutto darei!...

ELENA:
Anche l'onore?

PROCIDA:
Anch'esso!

ELENA:
Ah! mai!

PROCIDA:
Ma sul tuo core,
Ove già l'odio è spento,
D'un Francese poté tanto l'amore?
D'un rio tiranno figlio...
Quest'amante...

ELENA:
Ei m'è sposo!

PROCIDA:
E tu il difendi?

ELENA:
Sì!

PROCIDA:
Tant'osi?

ELENA:
Io l'oso!
Eccolo, ei vien! (Vedendo Arrigo che esce dal palazzo a diritta)

PROCIDA:
O donna, che ti arresta?
Va corri, mi denuncia!
Il prezzo è la mia testa!

ELENA: (Con orrore)
(Io gli amici tradire?
No, no... ma pur... dovrei
Uccidere lo sposo?... Ah! nol potrei!)

 

ATTO QUINTO
SCENA IV

Procida, Elena, Arrigo.

ARRIGO (appressandosi con gioia ad Elena, che abbassa il capo):
Ecco, per l'aura spiegasi
Di Francia il gran vessillo;
Ripete in suon di giubilo
L'eco il guerriero squillo!

ELENA: (a parte, con riflessione, senza rispondergli)
“Non appena tu avrai
Mosso l'ardente sì...

ARRIGO:
Suonò l'ora sì cara...
L'imen ci chiama all'ara!...

ELENA (c. s):
“E del compìto imene
I sacri bronzi dato avran l'annunzio,
Il massacro incominci”.
O cielo! a qual partito
(con sommo dolore)
M'appiglierò?.

ARRIGO: (Guardandola)
Ella trema!
È pallido il suo fronte!
Di tal terror quali ha motivi ascosi?
Ah! parla, o ciel!

PROCIDA: (A bassa voce ad Elena)
Sì, parla! se tu l'osi!

ELENA:
(Sorte fatale! oh fier cimento!
Posso immolarlo!... Io lor tradir!...
Pietà, o fratello, del mio tormento,
Reggi il mio spirito, calma il martir!

PROCIDA: (ad Elena)
Del suol natale in tal cimento
A te favelli il santo amor!
Pensa al fratello! col divo accento
Egli ti addita la via d'onor!

ARRIGO:
Ah! parla, ah! cedi - al mio tormento.
Pietà, pietade del mio dolor;
Un sol tuo sguardo, un solo accento
Salvar mi ponno da tanto orror!

ELENA (dopo aver guardato un istante Procida ed Arrigo in silenzio, s'avanza verso questi con commozione):
In fra di noi si oppone
Una barriera eterna!
Del fratel l'ombra fiera a me comparve...
La veggo!... innanzi sta!... grazia, perdono!
Arrigo!... ah!... tua non sono!

ARRIGO:
Che dicesti?

PROCIDA:
(Gran Dio!)

ELENA:
Quest'imeneo
Giammai si compirà!

ARRIGO: (Con disperazione)
O mio deluso amore!

PROCIDA: (Con furore)
(O tradita vendetta!)

ELENA:
Va! t'invola all'altar! Speranze, addio!
(Morrò! ma il tolgo a crudo fato e rio!)

ARRIGO:
M'ingannasti, o traditrice,
Sulla fé de' tuoi sospir;
Or non resta a me infelice
Che poterti maledir!
Tu spergiura, disleale, -
Mi piagasti a morte il cor!...
Dunque addio, beltà fatale,
Per te moro di dolor!

ELENA:
No, non sono traditrice,
Né mentirono i sospir!
(Or non resta a me infelice
Che salvarlo e poi morir!
Non morrà quel cor leale,
Io l'involo a reo furor!
Taccia il bronzo ormai fatale,
Precursor di Strage e orror!)

PROCIDA:
Tu fingevi, o traditrice,
Di voler con noi morir,
Ma volgesti, o ingannatrice,
A rea fiamma i tuoi sospir!
Onta eterna al disleale,
Che tradì la fé, l'onor;
La mia voce omai fatale
Su lui chiami il disonor!

ELENA (scorgendo la disperazione d'Arrigo che vuole allontanarsi):
Più a lungo il tuo disdegno (ad Arrigo:)
Io sopportar non posso!
Tutto saprai!... per te disfido e sprezzo...

PROCIDA: (Basso ad Elena che rimane interdetta)
E l'infamia e il disprezzo.

ARRIGO:
Ebben, prosegui! il vo' saper!

PROCIDA: (Forte)
Prosegui!
Di tuo fratello agli assassini or vendi
(a bassa voce)
La Sicilia e gli amici!

ELENA:
Ah! no, nol posso!
Ma non mentiva il labbro
(correndo presso Arrigo)
Quando amor ti giurò!
Io t'amo, ed esser tua giammai potrò!
(Con sfogo di tenerezza)

ARRIGO:
M'ingannasti, o traditrice,
ecc., ecc.

 

ATTO QUINTO
SCENA ULTIMA

Detti, Monforte con tutti i Cavalieri Francesi e le Dame che escono dal palazzo a diritta.

ARRIGO: (correndo a Monforte)
Deh! vieni; il mio mortale
Dolor ti mova, o padre, il caro nodo
Che io cotanto ambia,
Del fratello al pensier, Elena
infrange!

MONFORTE:
Errore! invan ritrosa
Pugni contro il tuo core: ei m'è palese
(piano ad Elena)
Lo credi!... l'ami!... egli ti adora; ed io
Che nomaste tiranno, vo' per voi
(sorridente:)
Esserlo ancora; a me le destre, o figli!
(Unendo le loro destre)
V'unisco, o nobil coppia!

PROCIDA:
E voi, segnal felice,
Bronzi, echeggiate!
(In piedi sugli scalini del fondo e alzando la mano)

ELENA:
No, impossibil fia!

MONFORTE:
Di gioia al suon che lieto in aria echeggia,
Giura!...

ELENA:
No!... mai!... nol posso!... ah! lassi voi!
(Si sente la campana)
T'allontana! va! fuggi!

MONFORTE:
E perché mai?

ELENA:
Non odi tu le grida?...

MONFORTE:
È il popol che ci aspetta.

ELENA:
È il bronzo annunciator...

ARRIGO:
Di gioia!

PROCIDA: (Con forza)
Di vendetta!
(Dall'alto della gradinata, e da ogni parte accorrono i Siciliani, uomini e donne, con torce, spade e Pugnali)

CORO:
Vendetta! vendetta!
Ci guidi il furor!
Già l'odio ne affretta
Le stragi e l'orror!
Vendetta, vendetta
È l'urlo del cor!

(Procida ed i Siciliani si scagliano su Monforte e sui Francesi)

Cala la tela.

FINE

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